Una guerra si vince o si perde se si ha l’opinione pubblica al proprio fianco. Questa lezione che gli Stati Uniti hanno imparato negli anni del conflitto in Vietnam si sta riproponendo oggi. In Iraq gli inviati di guerra si trovano ormai a dover scegliere tra raccontare gli eventi da un albergo oppure al seguito delle truppe militari come giornalisti embedded, senza cioè una reale autonomia di movimento. Anche in Russia gli omicidi di giornalisti come Anna Politkovskaya, l’italiano Antonio Russo, o ancora più recentemente di Natalja Estemirova per i loro reportage sulle violenze in Cecenia e più in generale nella regione caucasica, destano inquietanti interrogativi sulla libertà di stampa in un paese dove la maggior parte dei media e le voci critiche sono costrette a tacere.