Le vicende giudiziarie di Ultimo tango a Parigi sono ben note, perciò non vale la pena ripercorrere le tappe di uno scandalo che si è dimostrato piuttosto un successo di scandalo. Oggi l’opera, depurata da ogni polemica, si rivela più complessa e insieme più semplice. Nel 1972, dopo la proiezione al New York Film Festival, Pauline Kael scrisse che lo sconvolgimento suscitato nel pubblico statunitense era paragonabile a quello causato dalla prima rappresentazione di Le sacre du Printemps a Parigi nel 1913. L’opinione della Kael («un film che ha mutato il volto di un’arte») non lascia indifferenti anche se il confronto con Stravinskij è azzardato. Di Ultimo tango si parlò molto, sia a favore sia contro, citando Bataille e Céline, ma certo rappresenta una singolare condensazione dei temi di Bertolucci. Due dipinti di Francis Bacon – un uomo e una donna – accompagnano i titoli di testa e vengono accostati un attimo prima che inizi la storia. Il maturo Paul, un americano vedovo da poche ore e disperato, incontra la giovane parigina Jeanne, figlia di un colonnello e fidanzata di un cineasta, in un appartamento da affittare; qui i due si rivedono altre volte per un sesso senza inibizioni e una conoscenza senza passato: tacciono sui rispettivi nomi, s’inventano biografie e identità, unendosi variamente finché i sentimenti insorgono distruggendo la loro fragile zattera di naufraghi, e in ultimo la vita di lui. Il set di questo concerto inquietante, dove domina il sax di Barbieri, replica la camera da letto di Agonia, la casa-utero di Partner, lo scompartimento del treno di Il conformista in cui Marcello e Giulia languidamente amoreggiano ingannando il tempo che li separa da un duplice omicidio. Azzurro e rosso, esterno e interno, rivoluzione e tradizione, la plumbea Parigi e Roma solare dialogano sul tema della tragedia che in Ultimo tango è giusto dietro l’angolo. Infatti Paul, un inimitabile e magnetico Brando che non vuole amore né sapere di lei fuori dalle quattro pareti, nel finale s’innamora abbattendo con le proprie mani la statua e il mito di sé come eroe maledetto, cinico e sovversivo. Si umilia seguendola per strada e compie un errore fatale indossando il berretto del colonnello, sostituendosi all’unico vero eroe che Jeanne conosca: suo padre.