Oriente OccidenteOriente Occidente Logo
10/05/2007 - 22:00

Auditorium Melotti

The Dreamers

Rimasti soli a Parigi nel febbraio 1968 i gemelli Isabelle e Théo ospitano nell’appartamento dei genitori l’americano Matthew - conosciuto per caso alla Cinémathèque durante la protesta contro il licenziamento del direttore Henri Langlois - e con lui avviano una relazione triangolare foriera di disillusioni e sorprese. Questa è in estrema sintesi la trama di The Dreamers, presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia 2003, Globo d’oro 2004 per la migliore fotografia. Il regista replica la casa-utero e le trasgressioni sessuali di Ultimo tango riuscendo a togliere ogni carica sovversiva alle azioni dei tre giovani, pur immerse nel clima di un periodo realmente tumultuoso e violento. Infatti il Sessantotto viene vissuto dal terzetto nella penombra dei corridoi zeppi di libri, o nella cucina ridotta a un porcile per l’incuria, oppure canonicamente sul materasso. «I protagonisti di The Dreamers», ha detto l’autore, «non a caso, sono tre ventenni con cui mi sono identificato. Mi sono messo nella situazione di chi si crea un mondo nuovo per ricominciare». Tuttavia la seconda partenza coincide con la rievocazione di avvenimenti controversi ed “eroici” che, eccettuato il finale, restano ostinatamente fuori dal campo visivo. I due francesi e l’americano sono più interessati al cinema e al sesso che alla politica, si dedicano piuttosto al piacere fra quattro pareti e scendono in strada solo quando un sasso infrange il vetro della finestra della loro camera da letto. «La rue est entrée dans la chambre» dice Isabelle, ovvero la vita pubblica irrompe nel privato e incrina una già labile amicizia particolare. Nel film Bertolucci sintetizza buona parte del suo orizzonte biografico e filmico: la cinefilia, la vita come sogno e il cinema come strumento ideale per sognare, il microcosmo contro il macrocosmo, la verità delle emozioni e degli istinti opposta alle fanfare e ai teatrini illusori della Storia. L’opera non sembra tanto un nuovo inizio quanto una struggente ricapitolazione e forse anche l’illustrazione di un desiderio che non si è realizzato nel passato, quello di fondere armoniosamente impegno e poesia, esterno e interno, mente e cuore. La scissione permane e pare ancora così dolorosa da spingere il regista verso una conclusione ambigua e melodrammatica, in cui la polizia affronta i rivoltosi mentre la voce inconfondibile di Edith Piaf risuona intorno: “Je ne regrette rien”, io non rimpiango niente; un’allusione duplice: al Sessantotto, certo, ma anche alla fatale ritirata dell’esercito francese dalle colonie d’oltremare; e la simbolica fine dell’impero edificato dai padri coincide curiosamente con le scene della contestazione, guidata e voluta dai loro figli.