Quando la musica di Philip Glass raggiunse l’attenzione del grande pubblico all’inizio degli anni Settanta, lo fece presentandosi come un’alternativa a tutto quello che la musica offriva in quel periodo: il rock stava diventando sempre più complesso ed accademico, sovrapponendo le sue forme più sperimentali con le ricerche contemporanee; la musica vocale si stava progressivamente gonfiando, inglobata da orchestre sinfoniche o scandita dal metronomo delle batterie elettroniche. Nel frattempo la musica contemporanea si era ripiegata su se stessa, rivolgendosi ad un pubblico sempre più rarefatto di intenditori e giustificandosi con testi musicali astrusi e pretenziosi.
Grazie al suo ritorno a ritmiche candide e gioiose e ad un sentimento quasi fisico per il suono, Music in Twelve Parts (1971/1974) venne pubblicata da una nuova etichetta, la Virgin, e pose le basi per una nuova musica di avanguardia, che non necessitava di lunghe spiegazioni.
Il successo immediato e duraturo di Glass, che toccò un pubblico in continua crescita e composto non solamente di specialisti di musica classica, spiega come mai Glass, da musicista underground e alternativo, riuscì a diventare un compositore universalmente acclamato. Suo merito indiscusso fu quello di andare oltre le divisioni accademiche della musica contemporanea, prendendo ispirazione da diverse fonti (dalla tradizione francese come da quella indiana), riconciliando il popolare con l’accademico e l’Oriente con l’Occidente. Nel documentario Looking Glass avremo modo di accompagnarlo passo dopo passo attraverso il suo percorso creativo, dal processo di scrittura di un tema alle collaborazioni con diversi musicisti in studio, a casa e dal vivo.