Mallarmé la definiva un’innovatrice della danza, Rodin era uno dei suoi più appassionati ammiratori, Henri Toulouse-Lautrec la immortalò nelle sue litografie, per l’esposizione universale di Parigi del 1900 gli architetti Henri Sauvage e Marcel Lemarié le dedicarono addirittura un teatro. Chi è? Naturalmente Loïe Fuller, danzatrice simbolo dell’Art Nouveau, inventrice sulla scena di illusioni di immagine e luce passate alla storia.
Il debutto che la consacrò nuova reginetta della scena parigina avvenne alle Folies Bergères il 5 novembre 1892 con quattro titoli ancor oggi famosi: “La Serpentine”, “Le Papillon”, “La Danse Blanche” e “Le Lys”. Ma il suo amore per la scena vide l’esordio molti anni addietro. A soli quattro anni l’americana Fuller (nata a Fullerburg nell’Illionois nel 1862) già recitava con la Chicago Stock Company, a tredici teneva delle conferenze su Shakespeare recitando i testi a memoria, a ventuno si imbarcava per una tournée con il circo Buffalo Bill, per poi buttarsi nel vaudeville e nel teatro di ogni tipo. Nel 1890, durante una tournée londinese, le venne proposto per gli Stati Uniti di interpretare in uno spettacolo ambulante intitolato “Quack M.D.” il ruolo di giovane vedova ipnotizzata. Loïe Fuller si abbigliò con un larghissimo abito di seta, ideando un sistema di illuminazione affidato a dei prismi luminosi: fu la sua fortuna. A vederla volteggiare per il palcoscenico a braccia spalancate il pubblico iniziò a esclamare: “una farfalla”, “un’orchidea”…
L’intuitiva Fuller si rese subito conto del potenziale che aveva tra le mani: decise di dedicarsi alla danza e di sperimentare attraverso giochi di luce e di costume il regno della metamorfosi scenica.
Nel ‘92 partì alla conquista di Parigi. Una visita di Notre-Dame fu il via a sperimentazioni sempre più accese. Furono le vetrate colorate a suggerirle l’utilizzazione in teatro di diapositive di vetro. E già aveva rivoluzionato l’idea che la luce dovesse venire soltanto dall’alto, mettendo a punto un sistema di illuminazione che proiettava la luce da sotto il palcoscenico e dai lati. Con la danza la Fuller non raccontava, piuttosto si scopriva creatrice di illusioni visuali fuori dal tempo e dallo spazio a cui poi, nel corso del ‘900, avrebbero attinto a piene mani a innumerevoli artisti. Come non sentirne aleggiare lo spirito avanguardistico in certi giochi di luce e di costume del teatro anni ‘50 di Alwin Nikolais, nonostante la grande diversità di segno e di stile? Pensiamo soltanto all’idea fulleriana di allungare le braccia con dei bastoni per estendere le possibilità di movimento degli arti e per inventare un nuovo e imprevedibile corpo teatrale. A questa grande eroina dello spettacolo, dedica da tempo la sua ricerca Brygida Ochaim, danzatrice di Monaco, che sulla scia della Fuller, propone a Rovereto “Danse les couleurs”. “Sono affascinata da questa donna – dichiara la Ochaim – che, prima di tutti, ha compreso il rapporto della danza con il cinema e le arti plastiche”. L’invenzione del celebre sistema di specchi usato dalla Fuller nei suoi spettacoli avviene infatti nel medesimo periodo che segna gli inizi del cinema. La stessa Fuller girerà tre film intorno agli anni ’20: il primo, di cui Brygida Ochaim è riuscita a recuperare una parte, è datato 1919/1920: si intitola “Le Lys de la Vie” e, curiosità non da poco, vi lavora persino René Clair. Gli altri due sono “Visions de Rêves” e “Coppélius et l’Homme au Sable”: è l’anno 1927. Del secondo la Fuller non riuscirà a terminare le riprese. Morirà infatti a Parigi l’1 gennaio 1928.
Coadiuvata per la parte visiva dall’americana Judith Barry, Brygida Ochaim danza il suo omaggio alla creatività di Loïe Fuller, proponendo una fantasia in movimento ispirata alle immagini dell’artista. I celebri bastoni di legno che allungano le braccia sono sostituiti da barre di plexiglass, i fasci luminosi sono ricreati per mezzo del laser, ma lo spirito è quello di Loïe: se la Fuller avesse avuto a disposizione il laser, è fuori di dubbio, l’avrebbe usato. L’esibizione dell’Ochaim sarà intervallata dalla proiezione di estratti di film d’inizio secolo raccolti sotto il titolo “La féerie dea Ballets fantastiques de Loïe Fuller”.