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12/05/2007 - 13:00

Auditorium Melotti

La tragedia di un uomo ridicolo

Primo Spaggiari, piccolo industriale caseario parmense, festeggia il compleanno osservando i dintorni con il binocolo regalatogli dal figlio Giovanni e così assiste al suo rapimento. Qui inizia La tragedia di un uomo ridicolo, presentato in concorso a Cannes, dove Tognazzi ottiene la Palma d’oro per l’ottima interpretazione. Il cast è come al solito eccellente e la maestria di Morricone (Prima della rivoluzione, Partner, Novecento) dilata l’esile sostanza dell’apologo, dato che  Bertolucci compie nel film una sintesi minimale e onirica dei suoi temi fondamentali. All’inizio il protagonista, indossato un berretto da marinaio, ha detto che la nave è il tetto del suo caseificio e il suo mare è la pianura. Questo orizzonte un po’ angusto e circoscritto tuttavia rimanda alla padanità eroica di Novecento, infatti Primo ha detto anche: «Il ciclo della lavorazione del latte mi fa venire in mente la catena della famiglia: il liquido che diventa solido». Un’affermazione che evoca la stalla - luogo del latte e del seme - in cui muoiono sia il nonno Alfredo che Giovanni Berlinghieri. Da quell’appassionato e tumultuoso inizio del secolo l’avventura si limita, negli anni Ottanta, a un binocolo che da lontano cattura un doloroso frammento di realtà. I rapitori chiedono un miliardo, poi sembra che Giovanni sia morto e questo induce Spaggiari a elaborare una strategia per salvare dal fallimento il caseificio. Il fatto che Primo sia rimasto bambino nei confronti del corpo femminile e, turbato dai seni abbondanti della fidanzata del figlio (Laura Morante), aspiri ancora a bere il latte materno, insieme ai suoi svenimenti tattici e simbolici mostra il ritorno del regista al leitmotiv psicanalitico e all’usuale metafora calderóniana: la vita è sogno, o un incubo da cui è difficile evadere. Perciò il protagonista, da appesantito folletto emiliano, nel finale appare quasi un buffoncello verdiano e l’inquadratura si riduce a un mascherino, dove l’uomo ridicolo salta e sgambetta facendo il suo ennesimo, tragico marameo alla sorte.