Il primo film di Bertolucci, nato da un soggetto di Pasolini, è comunque «uno sforzo stilistico di differenziazione» dal maestro. «In questo è pasoliniano: in quanto proprio il suo contrario». Queste parole del regista ventunenne riassumono il senso di una narrazione complessa che gravita intorno al Parco Paolino e comprende, tra gli altri personaggi di una Roma arcaica e sottoproletaria, una prostituta uccisa in riva al Tevere, un ladruncolo, uno sfruttatore, un friulano, un soldato calabrese, due ragazzi di vita e un omosessuale che interpreta il ruolo del destino. La struttura è enigmatica e quasi poliziesca: si indaga per identificare l’assassino della mondana e, ricostruendo i fatti dell’omicidio, si svelano invece i caratteri dei testimoni. L’azione si sposta avanti e indietro nel tempo collezionando frammenti di realtà, brani di musica popolare (Come nasce un amore eseguita da Nico Fidenco, Addio, addio intonata da Claudio Villa) e istantanee di una città che per Bertolucci è ancora un luogo arcano. L’autore mescola spunti originali e omaggi. La gloria e la maledizione della luce meridiana è un topos pasoliniano che governa, ad esempio, le scene in cui il soldato calabrese (Allen Midgette) sembra perdersi nel suo sogno, o allucinazione, di Roma, immerso in una sospensione assoluta, bloccato da una distillata, lucidissima coscienza della solitudine. Perdersi, appunto, dato che ciascuno è solo e smarrito nel proprio labirinto oggettivato: è questa la nota personale introdotta nel testo dal giovane regista, una nota che ricorre nelle opere seguenti dove si dilata acquistando un notevole vigore metaforico.