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06/05/2007 - 16:00

Auditorium Melotti

L'assedio

Io ballo da sola era il racconto di un’iniziazione alla vita allestito in una cornice privilegiata; dall’eremo dorato dei Grayson infatti si scorgevano le dissonanze del mondo esterno: gli operai alzano il torrione metallico del ripetitore televisivo che snatura l’estetico paesaggio toscano, alcune prostitute africane aspettano i clienti su una strada in mezzo alla campagna. L’assedio forse prende spunto da quest’ultima annotazione ma non segna un ritorno del regista alle atmosfere esotiche della “trilogia dell’altrove”. Bertolucci insiste piuttosto sulle simmetrie e sulle strutture che abbiamo trovato in altre opere; prima fra tutte la condizione di assediato-assediante. L’immagine del cratere vulcanico circondato dall’acqua che fa da sfondo al titolo e, subito dopo, l’inquadratura del cantore indigeno seduto davanti a un grande albero proiettano la vicenda di Shandurai e di Jason – che non è ancora iniziata ma affonda in questo prologo le sue radici – su un orizzonte simbolico e mitico. Il cerchio rosso del vulcano si erge sul liquido azzurro. Si tratta della dicromia che il regista ha ormai trasformato in una costante stilistica. Il vulcano presumibilmente rappresenta l’Africa che nelle scene iniziali viene caratterizzata dalle emozioni primarie, da una violenza che rispecchia i colori e le luci: vivi quindi crudi e sensuali. L’acqua che circonda il vulcano è invece un’acqua d’Europa, un fluido occidentale disteso intorno al Continente Nero. Sul piano economico, psichico e storico il primo mondo imprigiona il terzo – quell’orgoglioso cratere rosso ma spento – sebbene quest’ultimo invii all’Occidente un messaggio e un monito affidati alle strofe incomprensibili del cantore. L’indigeno ricompare a tratti nel film per simboleggiare la voce dolente e la concreta minaccia dell’Africa. Chi assedia è assediato: la società occidentale ha imposto vari tipi di colonizzazione agli africani che ora premono alle frontiere e giungono dallo stesso mare usato dagli europei per le spedizioni di conquista. Un continente si pone, nei confronti dell’altro, come isola assediata e acqua assediante; un’isola ha propri usi e costumi che risultano oscuri all’altra. Se non comprendiamo il significato della canzone africana (sebbene i toni esprimano bene il senso del testo) con simmetria Shandurai dichiara a Kinsky: «Io non capisco lei e non capisco la sua musica». Dal vasto conflitto socio-culturale si passa quindi al privato, alla contesa tra individui legati a mondi diversi. Con l’abituale finezza il regista sottolinea questo aspetto della vicenda in una scena semplice e intensamente efficace. Kinsky compone e suona, lei inizia a passare l’aspirapolvere intorno al pianoforte: due musiche inconciliabili eppure complementari. L’uomo la rassicura: l’aspirapolvere non lo infastidisce. Lei prosegue il lavoro e a un certo punto il linguaggio incalzante delle note la prende, la affascina; interrompe il lavoro e sorride: dalla condizione di assediante è passata a quella di assediata felice e consenziente. L’infatuazione durerà?