Se Arthur Mitchell, grazie al suo mentore George Balanchine, fin dagli anni '50 ha dimostrato al mondo intero che anche un artista di colore poteva accedere al codice del balletto classico, trent’anni dopo un altro danzatore nero, Desmond Richardson, ha ulteriormente contribuito a infrangere le barriere tra un linguaggio della danza e l’altro e grazie al suo talento assoluto e ad una personalità unica ha fatto della versatilità una dote essenziale del ballerino di oggi, di qualunque formazione, estrazione culturale, razza.
Arrivato alla danza professionale attraverso un percorso che dai balli vernacolari della sua famiglia d’origine (che mischia radici africane a caraibiche) è passato a quelli da club e alla videodance (come in Bad con Michael Jackson), Desmond ha a sua volta avuto due grandi maestri in Alvin Ailey e William Forsythe.
Dal primo ha appreso l’importanza della versatilità: “Se sai cantare, mi diceva, devi cantare; se sai recitare, devi recitare. Devi portare tutto questo in scena: è ciò che ti permetterà di distinguerti”.
Dal secondo non solo le tecniche di improvvisazione, ma soprattutto la capacità di unire la disciplina accademica agli impulsi dati dal proprio corpo e dalla propria mente: “ Solo i ballerini classici – dice infatti - sanno mettere le loro energie al posto giusto”.
Così, ecco che nel 1997 Richardson arriva ad essere nominato Primo Ballerino dell’American Ballet Theatre – primo black nella storia della celebre compagnia classica newyorkese (dove è la star di Otello di Lubovitch, ma anche Carabosse nella Bella, oltre che primeggiare in Remanso di Duato) - salvo poi gettarsi in una nuova avventura a Broadway, come vedette della celebrazione del mitico coreografo jazz nel musical Fosse.
Quello che però rende Richardson una personalità tra le più rilevanti della scena attuale della danza è il fatto di aver messo la sua Star Quality al servizio di un’idea artistica e culturale che incarna uno dei diktat morali dell’ Americanità: trascendere le differenze e abbattere i confini.
Fondando nel 1994 con il coreografo Dwight Rhoden Complexions Contemporary Ballet, Richardson ha infatti “voluto semplicemente creare un melange di razze. Cosa che non incide sulla coreografia, o solo nella misura in cui ogni individuo può portare qualcosa di suo alla danza e questo non dipende certo dal colore della pelle, ma dalla personalità di ciascuno di noi”.
In quindici anni di attività, Complexions ha forgiato molti straordinari danzatori, mettendo sempre l’accento sulla loro versatilità e personalità, ma anche sul naturale glamour di un gruppo di artisti dalle più diverse origini e formazioni culturali, capaci di partecipare però alla stessa visione dell’arte della danza. Ben lo si vede dalle coreografie firmate da Rhoden e dallo stesso Richardson in cartellone a Oriente Occidente, in cui la diversità del colore della pelle, della morfologia fisica, della qualità dinamica dei vari componenti del prodigioso ensemble si trasforma in un’esaltazione continua dei valori più positivi e vitali dell’essere umano: la condivisione di un ideale comune, la medesima fede nella bellezza, la generosità e la speranza di un mondo e di un modo davvero possibile di vivere liberamente.
http://www.complexionsdance.org/