Bill T. Jones ha studiato balletto classico, modern dance, contact improvisation, Tai Chi Chaun. Prima di formare (nel 1982) la Bill T. Jones /Arnie Zane & Co., è stato coreografo e danzatore solista, e ha danzato in tournée internazionali in duetti assieme al suo partner Arnie Zane.
Ha ricevuto vari premi, tra cui il “German Critics Award” per la coreografia di Blauvelt Mountain creata in collaborazione con Arnie Zane. Suoi lavori sono stati inclusi nel repertorio di compagnie come la Welkcentrum Dans Company, la Co-Dance Company e l’Alvin Ailey American Dance Theater. Ha creato film e video per vari canali televisivi americani e europei.
Arnie Zane inizia la sua carriera come fotografo. Ha esposto i suoi lavori alla Light Impressions Gallery, a The Kitchen Center, al Dance Theater Workshop e al Pratt Institute.
Giunse alla danza nel ’73, quando, con Bill T. Jones e Lois Welk, formò l’”American Dance Asylum” a Binghamton, New York. Oltre ad essere coreografo e co-direttore artistico della Bill T. Jones /Arnie Zane and Company, ha firmato singolarmente lavori per The Kitchen Center di New York (“Cotillon”, 1981), il P.S. 122 (“New Hero”, 1981) e il St. Mark’s nella Bowery (”Garden”, con Johanna Boyce, 1981). Il lavoro comune di Bill T. Jones e Arnie Zane rappresenta uno dei prodotti più significativi e entusiasmanti della “nuova danza” americana anni 80. “Sono i coreografi in assoluto più straordinari, eccitanti e divertenti emersi in questi ultimi anni”, ha scritto di loro Deborah Jowitt sul New York Times. Tra i loro duetti più noti: “Rotary Action”, che segna l’inizio della loro collaborazione con il musicista Peter Gordon.
Formata nell’82 la Bill T. Jones/Arnie Zane & Co, debuttano con il loro nuovo ensemble alla Brooklyn Academy of Music di New York (“Next Wave Festival”) nell’’83 con “Intuitive Momentum”, con la scena disegnata da Robert Longo. I loro due più importanti successi sono “Freedom of Information” e “Secret Pastures”, quest’ultimo con le scene del celebre “graffitista” Keith Haring e le musiche di Peter Gordon. In questi ultimi anni la compagnia si è esibita con successo in molte città europee e americane, tra cui Parigi (Théâtre de la Ville), Londra (Sadler’s Wells), Bercino (Der Kunst) e New York (BAM e City Center). Nel prossimo ottobre “Secret Pastures” sarà presentato a Milano.
“Freedom of Information”, un po’ come le coreografie di Twyla Tharp, fa un uso libero della storia della danza in ogni sua forma. Ma il background della Tharp e di Bill T. Jones e Arnie Zane è assai diverso. Molti elementi di “Freedom of Information” sono presi dai balli di società nero-americani, a cominciare da “cakewalk”. Questi riferimenti al passato si mescolano agevolmente con allusioni all’attualità, per esempio la break-dance, o anche materiali più datati, come il rock-and-roll e le pose delle pin-up anni 50. In questo spettacolo suddiviso in tre parti, si combinano tra loro passato e presente, in un vibrante caleidoscopio di segnali corporei che si sviluppa all’interno di una panoramica molto ampia. Non manca nessuno stile, nessun genere di danza. Mentre la prima metà dello spettacolo si basa su una violenta energia, fatta di salti audaci e di tuffi dall’alto di piramidi umane, la seconda parte procede in modo molto più tranquillo. Un’enorme struttura di alluminio funge al tempo stesso da passerella, da nascondiglio e da ribalta. L’aspetto visuale è determinato soprattutto da “pose” che ricordano illustrazioni di riviste o fotografie di atleti fatte con un pathos che avrebbe fatto onore a Leni Riefenstahl. Ma sembra che i coreografi non prendano mai troppo sul serio tutto quest’estetismo. La “nobiltà d’aspetto” è solo una dimensione ironica: lo dimostra bene l’irrequieta parata gestuale compiuta da Zane sull’orlo della struttura alluminica. Il danzatore sembra felice di prendere in prestito dalla commedia dell’arte, da Pinocchio e da Pétruska tutto il suo repertorio. Ma questa sfilata di pose cela molto di più di quanto non appaia a prima vista. Non c’è mai una citazione “letterale”. C’è sempre una sorta di alienazione, con interventi di parlate ironiche: lo stile è del tutto originale. Nella parte finale, che è tutta in nero, la danza, che fin qui è stata sempre frammentata, comincia a fluire. Un paradosso inusuale si determina: una regolarità selvaggia. I movimenti, eseguiti sulla base di precisi modelli coreografici, si trasformano in un flusso fisico di informazione, in una serie di segnali che arrivano da un computer surriscaldato. Gli impulsi dell’informazione, ridotti a pictogrammi, sembrano impazziti. Ed è qui che esplode il virtuosismo nel senso più significativo di questo termine: come sistema complesso di segnali, che riesce a cogliere un’iconografia contemporanea assumendo il corpo come punto di riferimento centrale.
Norbert Servos
(da “Ballet International”, 8/84)