Dalla tradizione afro-americana alle astrazioni neoclassiche debitrici a Balanchine, dalla coreografia intesa come mezzo per riflettere sulla società alla danza come virtuosismo di forma: Donald Byrd, coreografo di colore con all’attività collaborazioni importanti con Karole Armitage, Twyla Tharp, Peter Sellars e Bob Wilson, è un artista che non si lascia ingabbiare in formule e stili troppo rigidi. I suoi spettacoli – più di ottanta dal ’78 ad oggi – sono vari sia nelle tematiche, sia nel timbro delle sperimentazioni tecniche. Nel corso di quasi vent’anni di carriera, Byrd ha firmato coreografie per numerose compagnie americane ed europee, tra le quali l’Alvin Ailey American Dance Theater, fondando il Donald Byrd/The Group a Los Angeles nel ’78, trasferito poi a New York nell’83.
L’autorevole New York Times ha confrontato più di una volta Byrd con Balanchine ed in effetti al grande maestro russo Byrd sembra più volte essersi ispirato. Per poi destrutturarne le luminose armonie alla luce della conflittualità contemporanea. Dinamici, allenati a sequenze in cui la classicità accademica è rotta da movimenti di braccia, di testa e di busto che ne rendono mutevoli gli accenti, i dieci danzatori del Donald Byrd/The Group hanno raccolto consensi dalla critica nazionale e internazionale come provano del resto le loro corpose tournée.
Tra i titoli firmati da Byrd negli anni ’90 esiste una curiosa versione afro-americana del classico balletto di Natale “Schiccianoci”, ribattezzato “The Harlem Nutcracker” e cucito sulla rielaborazione della musica originale di Ciaikovsky ad opera di Duke Ellington. Attento alle problematiche razziali del suo paese, Byrd ha dedicato all’argomento un fortunato lavoro del’91, “The Minstrel Show”, vincitore l’anno successivo del prestigioso Bessie Award. Si tratta di una satira sugli stereotipi del razzismo del XX secolo, danzato con ironia e piacevole gusto eccentrico. Alla violenza domestica Byrd ha riservato nella stagione ‘94/’95 “The Beast: The Domestic Violence Project”, lavoro a serata intera su musica di Mio Morales.
A Oriente Occidente l’artista americano presenta degli estratti da tre delle sue ultime e più importanti produzioni: “Bristle” costruito su “La Valse” di Ravel, è firmata da Mio Morales. Spettacolo a serata intera dagli sviluppi complessi, “Bristle” ruota intorno alla lotta tra i sessi, indagata, atto dopo atto, secondo diverse sfaccettature. Così mentre nel primo il contrasto tra uomo e donna si consuma in una danza aggressiva soprattutto dal punto di vista formale, nel secondo atto, montato sulla musica di Ravel, il tema di partenza si apre a una narratività più esplicita che, malgrado il timbro romantico della scelta musicale, non permette cedimenti sentimentali. Nell’atto finale, i danzatori rimasti sono soltanto quattro: accettano finalmente la partnership, suscitando nel pubblico una sensazione di speranza. “Drastic Cult’s è invece un balletto più astratto, la cui prima sezione ha tuttavia non poche analogie con l’inizio di “Bristle”. D’altronde anche in “Bristle”, a parlare è innanzitutto la perizia tecnica e formale dei ballerini. Infine “Life Situation”. Balletto creato nel ’94 è una sorta di laboratorio sullo stile di movimento di uno dei più grandi classici della tradizione accademica: “Giselle”.