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11/05/2007 - 13:00

Auditorium Melotti

Amore e rabbia

Nel ’67 Bertolucci partecipa con l’episodio Agonia al film collettivo Vangelo ’70, distribuito nel 1969 con il nuovo titolo di Amore e rabbia. Il regista si ispira a una parabola evangelica e si affida a un celebre guru teatrale, il carismatico e magnetico Julian Beck. Mostrando di apprezzare il sistema di lavoro e le soluzioni tecniche del Living Theatre, Bertolucci fa, con molta evidenza, una scelta di campo, e ricorda: «Sono rimasto chiuso con loro e con la mia troupe per dodici giorni in uno studio di Cinecittà. (...) Erano felici di vedersi in 35 mm, in scope e a colori, bene a fuoco e senza tremolare continuamente. Erano abituati ai cineasti underground che si illudevano di mimare i movimenti degli attori del Living muovendo a loro volta, freneticamente, la macchina da presa con cui li filmavano». Alcuni giovani dagli abiti multicolori chiedono a un anziano, agonizzante nel suo letto, che cosa abbia fatto di buono nella vita e se in qualche modo possa giustificare la propria esistenza. L’interrogatorio angosciante termina con la morte del protagonista: si fanno avanti dei religiosi e lo vestono con paramenti sacri rivelando che il defunto era un principe della Chiesa. L’incontro con il Living, straordinario ensemble di interpreti-mimi-danzatori – disciplinato e atletico come una formazione paramilitare, dotato di incrollabile e serena fede antiborghese – affascina il regista e lo ricarica di entusiasmo. L’episodio, critico e provocatorio, sostanzialmente “alternativo”, è in linea con il progetto comune di Amore e rabbia ma Bertolucci rivela, più di altri, una netta coscienza stilistica e una precisa economia narrativa. Alla curiosa “famiglia” che realizza Agonia appartengono anche Giulio Cesare Castello, Milena Vukotic e Adriano Aprà. Se teniamo conto che questo cortometraggio sperimentale, dove cinema e teatro verificano la loro diversità di metodo, si inserisce tra episodi firmati da Pasolini, Godard, Lizzani e Bellocchio-Tattoli, vediamo che la famiglia si allarga a comprendere un definito milieu artistico e culturale, dove spiccano i tre “ragazzi terribili” degli anni Sessanta: appunto Pasolini, Godard e Bellocchio.