La “fluidità” del nemico nell’immaginazione politica di molti americani rappresenta uno degli aspetti più incredibili della guerra in Iraq. Quello che era iniziato come una lotta per liberare il mondo dal regime Baathista – che si diceva collegato ad al Qaeda e sul punto di utilizzare armi di distruzione di massa –, si è trasformato poi in una campagna per “esportare” i diritti umani in Iraq, in una guerra contro Saddam e altri “portatori di morte”. Ma, sulla scia dello scandalo di Abu Ghraib, anche questa giustificazione è venuta meno. E di recente quell’al Qaeda irachena è stata messa, senza alcuna apparente distinzione, sullo stesso piano della al Qaeda che opera nella regione tra Pakistan e Afganistan.
Inoltre le ulteriori suddivisioni tra Sunniti e Sciiti e le sottoarticolazioni al loro interno sfuggono anche agli osservatori occidentali più attenti. Nel frattempo, gli stessi americani sono diventati incapaci di comprendere chi sia esattamente l’Altro, il Nemico. Nel periodo immediatamente precedente alle elezioni del 2004, il 42% degli intervistati dichiarò che l’Iraq era responsabile degli attacchi dell’11 settembre, e dopo il 2005 una serie di film sulla guerra in Iraq fecero fiasco al botteghino. Sulla base di osservazioni dirette svolte in Iraq e attraverso l’analisi dei sondaggi, dei media e della cultura popolare americana, Steven Livingston dimostrerà come la guerra in Iraq sia stata, in effetti, una serie di guerre diverse in momenti diversi con diversi attori, ognuna portatrice di una diversa idea di chi sia l’Altro, il Nemico. Un’idea che non ha mai preso davvero forma. L’obiettivo dello studioso americano è di fare luce sulle implicazioni politiche di queste differenti letture (ed esperienze) della guerra in Iraq.