La Cina è lo specchio delle nostre brame. È un mondo “altro”, al quale poniamo domande sulla base delle nostre esigenze ed esperienze. O sulla base di quelli che vogliamo definire valori. Con questo atteggiamento abbiamo guardato prima alla rivoluzione, che ci ha infuso speranza (ma per loro che cosa ha significato?); poi a una restaurazione “capitalista”, che invece ci ha fatto sprofondare nel terrore di essere sorpassati, di non poter essere ancora i più belli del reame. Eppure pensiamo di esserlo ancora.
Accusiamo oggi la Cina di non conoscere democrazia, legge, diritti umani. Ma li ha mai conosciuti? O potrebbe forse esistere un’altra idea di giustizia sociale, di Dio, di convivenza civile? La risposta che diamo è no: la nostra idea o nessuna. La conseguenza è che non c’è conoscenza, se non distorta. Narciso dovrebbe riconoscere una dura verità: dovrebbe riconoscere che sua madre è l’ignoranza. Tuttavia la modernità è “cosa nostra” e all’Altro-gli altri spetta il compito di seguirci. Per forza. Ma a lungo andare, che importanza potrà avere il nostro vantato primato? Come dice Claude Levy-Strauss, non si sa chi fu il primo uomo che riuscì ad addomesticare il fuoco. Di questa grande invenzione o scoperta, nessuno può accaparrarsi il primato. Il mondo è sempre stato uno, un globo. L’Altro siamo noi, sono loro. Ma per quanto ancora?