A distanza di sette anni torna a Rovereto Rui Horta, il coreografo portoghese trapiantato ormai da qualche tempo in Germania. Noto per la sua danza energica e per le sue originali creazioni, Horta comincia a ballare all’età di 17 anni nel Ballet Gulbenkian. Nel frattempo studia educazione fisica ed architettura ed in seguito si trasferisce per alcuni anni a New York, dove si dedica alla pratica ed all’insegnamento della danza contemporanea. Tornato in Portogallo, dirige la Compagnia Lisbon Dance, dopodichè fonda un suo gruppo, con il quale inizia a girare ed a farsi conoscere in Europa. Nel ’91 viene invitato a seguire, in veste di direttore artistico e coreografo, il S.O.A.P. Dance Theatre presso il Künstlerhaus Mousonturm di Francoforte, con il quale intraprende un’intensa attività. Il suo primo lavoro è Long time before the end (’91), una danza dai contrasti violenti che fa pensare, anche in considerazione del significativo periodo storico, ad una citazione della caduta del muro di Berlino. Nel ’92 con un omaggio alla musica di Mozart dal titolo Wolfgang, bitte… vince il concorso di Bagnolet. Rui Horta collabora con il Goethe Institut per diversi progetti internazionali e crea ed allestisce lavori per Compagnie importanti, come ad esempio il Cullberg Ballet, il Nederlands Dans Theatre II e il Ballet National de Marseille. Nel ’96 si cimenta nella messa in scena dell’opera di Stravinsky The Rakers Progress presso il Teatro di Basilea, dove disegna anche le luci e le scena. Dal ’97 lavora come coreografo residente a Monaco, presso il Muffathalle, con il supporto dell’Assessorato della Cultura di questa città. Nello stesso anno riceve il premio per la sua prima produzione indipendente, l’assolo Bones and Oceans che ha sviluppato per il danzatore ed attore Anton Skrzypiciel. Continua tutt’oggi la collaborazione di Horta con il Muffathalle di Monaco, con il quale ha creato nel ’99 Zeitraum, lo spettacolo presentato a Rovereto. E come accade nelle rappresentazioni del coreografo portoghese anche in Zeitraum non c’è un inizio vero e proprio e quindi lo spettatore prende posto a sedere mentre lo spettacolo procede con i movimenti lenti di due danzatori. La coreografia si ispira ai lavori dell’architetto olandese Rem Koolhaus ed all’ultimo libro di Italo Calvino Six Memos for the Next Millennium, quelle Lezioni Americane incentrate su argomenti come leggerezza, velocità, precisione, visibilità, molteplicità e coerenza. Di ciascuno di questi “temi” Calvino sottolinea come vada sempre tenuto presente anche il contrario: la velocità e la lentezza e la gravità e così via. In questa scenografia minimale costituita da una serie di tubi accatastati ed un piccolo acquario riempito d’acqua, la performance prende vita attraverso una continua “costruzione” e “delimitazione” dello spazio che tocca sia la dimensione orizzontale, sia quella verticale. “Tutti noi viviamo circondati da alcune componenti architettoniche – scrive Rui Horta – In ogni momento questo condiziona la nostra libertà. L’orizzonte verticale delle nostre città aggredisce la libertà dei nostri sensi” e quindi non ci rimane che rifugiarsi nell’immaginazione “ultimo rifugio dell’anima”. La proiezione dell’immagine di un fiume che scorre per tutta la durata dello spettacolo è il simbolo del fluire del tempo, “il tempo dello spazio”, dove tutto è sconosciuto e incerto e dove passato e futuro hanno rotto il loro equilibrio. La coreografia è dinamica e piena di energia e vede l’alternanza di brevi assoli in cui i sei danzatori-individui, ciascuno con una forte personalità, si muovono in un loro universo fatto di “contrasti”, “equilibri”, “cadute”, “immersioni”, “nuotate”, “voli”.