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22/03/2005 - 20:00

Teatro Sociale

Views on Stage

View on Stage, Merce Cunningham Dance Company | ph Tony Dougherty

Lavorare con la videocamera e la cinepresa mi ha dato l’opportunità di riflettere su certi elementi tecnici. Per esempio la velocità con la quale fruiamo di un’immagine televisiva mi ha ispirato nell’introdurre nella danza dei nuovi tempi e dunque nell’ aggiungere una nuova dimensione alle nostre pratiche

Merce Cunningham

La creazione di Views on Stage risulta piuttosto anomala anche nel novero dei più recenti e spiazzanti lavori di Cunningham. Qui il coreografo non si è limitato solo ad approntare una coreografia a partire da una preesistente videodanza, come aveva già fatto per altri tre celebri balletti del passato (Locale del 1979, Channels/Inserts del 1981 e Coast Zone del 1983) ma ha assemblato le varie parti della messinscena, come in un montaggio cinematografico, cioè poco alla volta, in cinque diverse città della Gran Bretagna. A Sheffield la Merce Cunningham Dance Company ha presentato la sola coreografia, a Manchester vi ha aggiunto la scena del trentanovenne brasiliano Ernesto Neto, a Warwick le luci di Josh Jonshon, a Oxford i costumi di James Hall e a Brighton la musica di John Cage. Infine Views on Stage ha debuttato nella sua totalità al Festival di Edimburgo, nella città sede della manifestazione, il 29 Ottobre 2004. Invece la videodanza Views For Video fu completata, con la collaborazione del celebre e prediletto cineasta Charlas Atlas, a New York alcuni mesi prima della sua traduzione teatrale e ancora attende il debutto che avverrà all’Università di Stanford nel Minnesota in questo mese di marzo e in Europa al Festival di Montpellier, nel giugno prossimo.
Stranissimo l’effetto d’insieme on stage, come si noterà in questo debutto italiano. La larga colata come di chewing-gum rappreso di Neto, che da mezz’aria, dov’è sospesa, sgocciola giù in forme persino falliche, sovrasta una coreografia ove gli assolo degli interpreti si concentrano tutti sotto l’originale cielo che li sovrasta. I tredici danzatori indossano tuniche bianche, di foggia ellenistica ma il principio oppositivo che contrappone il loro look “antico” alla scenografia di gomma rappresa, infantile e ambigua, sembra informare tutta la danza divisa in gruppi maschili e femminili e basata su aperture e incroci, movimenti lenti e bruschi cambiamenti di direzione, spontaneità e controllo. Le luci, accuratissime, trascolorano dal rosa al verde e mescolano i due colori, dopo aver seguito anch’esse una sorta di partitura a contrasto.
Spasmodica la cura dei dettagli sur place (gambe che si annodano, mani rivolte al cielo, disequilibri vertiginosi) molto più complessi degli spostamenti dinamici quasi a ribadire il processo di scarnificazione all’essenziale, la ricerca di una danza del corpo e sul corpo caratterizzanti l’ultimo Cunningham che qui si avvale ancora una volta della musica di Cage (ASLSP del 1985 e Music for.…composto tra il 1984 e il 1987). Il primo brano dal titolo-sigla che sta per as slow as possible, “più lento possibile”, consta di otto parti e può essere eseguito sia al pianoforte sia all’organo. Ancor più accentuata la libertà esecutiva di Music for.…dove i puntini di sospensione alludono al numero degli interpreti variabile da due a quindici. La strumentazione di quest’ultimo pezzo può includere voci, percussioni, archi e fiati.
Da notare, a compendio di una messinscena che davvero racchiude un universo di segni ove non si sa se privilegiare “l’ascolto della danza o la visione dei suoni”, il rimando al prediletto James Joyce di ASLSP: as slow as possible torna a un’espressione finale del Finnegans Wake (“Soft morning city! Lsp!”) e rammenta l’influenza esercitata non solo su Cage ma anche su Cunningham dallo scrittore di Dublino.