Hanno sedotto il globo con la loro vitalità contagiosa che celebra le tradizioni, i colori e i ritmi del Sudafrica. Sebbene la compagnia porti il nome di una delle township di Johannesburg più difficili, dove regnano disoccupazione e criminalità, gli spettacoli prodotti da Via Katlehong Dance hanno la forza festiva del fermento multirazziale sudafricano. Al gruppo si devono show che mixano con disinvoltura la street dance indigena (la pantsula), il tip tap, la danza gumboot dei minatori, capaci di restituire allo spettatore un’energia e un ritmo unici in unisoni mozzafiato. Uno stile inconfondibile quello di Via Katlehong, compagnia di storia ventennale guidata da Buru Mohlabane e dal coreografo Vusi Mdoyi.
Via Sophiatown è il loro ultimo spettacolo per nove danzatori e tre musicisti jazz il cui titolo rimanda a un punto di riferimento ormai leggendario per gli artisti sudafricani: l’omonimo sobborgo di Johannesburg sgomberato forzatamente dal governo negli anni Cinquanta, simbolo della lotta all’apartheid. In realtà Sophiatown era sì un ghetto, ma come scrive nella sua autobiografia Nelson Mandela “aveva un’atmosfera speciale; per gli africani era come la rive gauche a Parigi e il Greenwich Village di New York. Era il rifugio di scrittori, artisti medici, avvocati. Sophiatown era alternativa e convenzionale, animata e tranquilla al tempo stesso”.
Luci della ribalta dunque sulla Sophiatown anni Cinquanta per questa commedia-musicale che è omaggio al mitico quartiere simbolo della “Happy Africa”. Le fotografie in bianco e nero del fondale confondono il passato con il presente alla stregua del dialogo gestuale delle coppie, sexy e scanzonato, alle reminiscenze di antiche danze antenate della pansula, la tsaba tsaba o la kofifi, ai virtuosismi ritmici declinati dai piedi alla testa e alla nostalgia di alcune canzoni hit degli anni Cinquanta di Dorothy Masuka e Miriam Makeba.