Animali, vegetali, persone, sentimenti, pensieri, ovvero merci e flussi di merci, e in definitiva tutto ciò che si muove in e per il territorio (quello del nord-est), si regola sullo stesso metronomo, “lavora” con gli stessi secondi, o meglio, nel caso umano, ne ha l’impressione; ma negli interstizi, nelle pieghe, nei bordi, negli spazi residui, abbandonati, ai margini, fuori dal flusso, un altro tempo lavora e così in ogni caso moriamo. Curioso: i luoghi in cui più intensamente se ne percepisce la presenza sono le fabbriche abbandonate. La prima impressione che si ricava, esplorando questi spazi, è che lì il tempo si sia improvvisamente fermato, ma naturalmente no, non è così, solo non scorre, non fluisce, soggiorna, abita il luogo, ne pervade l’atmosfera, si fa respirare, toccare, pensare, e nel mentre lavora, indifferente, con ostinata determinazione.
Un po’ diario, un po’ saggio, un po’ monologo. Tristissimi giardini di Vitaliano Trevisan è tutto questo e di più. È uno dei libri più interessanti del panorama della narrativa italiana in grado di raccontare un territorio – quello del nordest – a suo modo emblematico e rappresentativo dell’intero Paese. In ciò che Trevisan racconta nel libro e in questo spettacolo c’è sì il Veneto contemporaneo con la sua “periferia diffusa” ma anche l’Italia tutta con le sue contraddizioni.
Vitaliano Trevisan è attore e scrittore, edito in Italia da Einaudi, Laterza, Sironi e tradotto in Francia da Gallimard e Verdier con una produzione ampia: romanzi, testi teatrali, sceneggiature – tra quest’ultime quella per Primo amore di Matteo Garrone. Al suo fianco sul palcoscenico Ettore Martin, sassofonista, compositore e arrangiatore di Vicenza che vanta vari lavori discografici – cinque gli album a suo nome –, numerose collaborazioni con artisti come Cecil Bridgewater, Paolo Birro, David Boato, Robert Bonisolo, Lee Harper, Cheryl Porter, Saverio Tasca e performance in noti festival internazionali.