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01/09/1999 - 19:00

Teatro Zandonai

Super

Un caso a parte nell’ultima generazione della danza contemporanea italiana è quello dei Kinkaleri, collettivo fiorentino formato da Cristina Rizzo, Gina Monaco, Luca Camilletti, Marco Mazzoni, Massimo Conti e Matteo Bambi. Fin dalla fondazione nel ‘95, i Kinkaleri si sono segnalati all’attenzione della critica e del pubblico per la singolarità di montaggio e di approccio ai diversi progetti scenici, per la qualità nitida e glaciale del gesto, concentrata sul rapporto forma/spazio/comunicazione, per la presenza costante di elementi le cui matrici spaziano dalla danza al teatro, alle arti visive, alla performance. 
In albanese kinkaleri significa chincaglieria, cianfrusaglie da esporre nei mercati di strada. La scelta di questa parola è sintomatica, nel volere rimarcare il possibile utilizzo di ogni tipo di oggetto, materiale, struttura, costume, idea. I lavori creati fino a oggi sono quindi diversissimi uno dall’altro: il montaggio, le scelte scenografiche, il disegno luce, il timbro gestuale, l’uso o il non uso della voce, vengono collettivamente decisi non in base a uno stile di spettacolo e di movimento preconfezionato, ma in liberissima risposta al tema del singolo progetto. 
In Amras, primo lavoro del gruppo tratto da Thomas Bernhard, il gruppo sceglie il tema della malattia mentale, utilizzando un artificio che mette in evidenza una situazione di disturbo. Effetto dato da una luce stroboscopica sparata sui due personaggi che agiscono su una piattaforma sospesa. Nettamente più legato alla danza Doom, rifatto per volere di Karole Armitage anche dalla compagnia MaggioDanza, e di cui i Kinkaleri hanno prodotto l’abbacinante e incisiva versione video Doom Window. Si ambienta in una scatola bianca di 6 metri per 6, in cui i tre danzatori sono corpo che espone uno stato emotivo attraverso la qualità eccessiva della visione, sorta di fisici inorganici, appiattiti in un candore di luci sovraesposte. 
Meccanismi infantili, proposti con uno sguardo che non lascia adito a sdolcinature, governano la gestualità di 1.9cc GLX, lavoro dedicato a Pinocchio nel ‘98, in cui i danzatori si muovono intorno a una terrificante casetta gialla nella quale nessuno può entrare. Meccanismi infantili che il pubblico si trova costretto a rivivere: sistemato intorno alla casa vede lo spettacolo da una sola angolatura. Scruta la casetta sperando di capire cosa avviene al di là del suo sguardo, coinvolto in una favola piena di trabocchetti e di lati che gli resteranno oscuri. 
Al festival i Kinkaleri mettono in scena Super, un lavoro del ‘97 che parte dall’idea del collage e che si concretizza in un processo visionario regolato da una scansione fotografica dell’immagine. I danzatori-attori-performers dello spettacolo sono corpi in attesa costante di qualcosa. Danno forma a una condizione di aspettativa che non si risolve mai. Super è un condensato di forme volutamente sconnesse, di rabbie lucide, di fantasmi inconsapevoli. Dichiarazioni di sé, riversate sul pubblico da individualità separate. Agiscono in una struttura di tubi di ferro, segnata da luci violente, proiettate anche sulla platea da grandi riflettori. In un’epifania del vuoto labirintica e piena di interrogativi. Puntualizzano i Kinkaleri: “Super è un ciclo di forze, forze che disegnano la mappa di un'intensità che si sviluppa tutta in superficie, una superficie carnale. Un corpo in attesa percorso da onde. Un corpo che non si oltrepassa, è se stesso e si presenta fatto di contorni, cunicoli, orifizi, caverne e pieghe; il corpo si muove, si sospende si presta ad una visione frammentata che concede pochissimo all'evoluzione. Super fantastica sul fantasma del risultato e diventa rivolta, sospende il tempo, negando l'azione affidando il suo futuro ad un mondo fatto di atti e percorrenze”.