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Sala Conferenze del Mart, Rovereto

Si fa presto a dire realtà. Ma come mostrarla?

Incontro con Pietro Marcello, Michelangelo Frammartino e Enrico Magrelli con la partecipazione di Marco Bellocchio

Negli ultimi anni il cinema italiano sembra guardare con maggiore attenzione allo spazio del reale. Se per un attimo mettiamo da parte il cinema più schiettamente commerciale, veicolatore di un’idea di realtà spesso forzata quando non direttamente inventata (le vacanze degli italiani sono davvero quelle di Boldi e De Sica?), e se ignoriamo i non pochi film che raccontano il Paese senza uscire dai cliché un po’ stantii e spesso indigesti di un cinema narrativamente ed emotivamente fiacco e involuto, troviamo un significativo numero di autori che sceglie di raccontare con coraggio e spericolatezza frammenti di vita e porzioni di mondo. In questo orizzonte le filmografie di Pietro Marcello e Michelangelo Frammartino si stagliano con grande nettezza e sorprendente autorevolezza. È, il loro, un cinema che nasce dai corpi e dai luoghi, dove tutto odora di realtà e la messinscena si fa rispettosa e misurata. Un cinema che cammina nei vicoli e nei boschi, sale sui treni e si perde nelle campagne, non disdegna il pensiero e ai facili proclami preferisce le emozioni delle vite vissute. “Non ho nulla da dire, solo da mostrare” diceva Walter Benjamin. Ecco, i film di Marcello e Frammartino camminano, si guardano in giro e “mostrano”. E tonificano lo sguardo.

Nato e cresciuto a Bobbio, Marco Bellocchio frequenta in giovane età il Centro sperimentale di cinematografia di Roma. Il suo primo film, I pugni in tasca (1965), è uno degli esordi più maturi e sfrontati della storia del cinema italiano. Dopo La Cina è vicina (1967), film slogan sulla borghesia italiana, gira tra gli altri Sbatti il mostro in prima pagina (1972), amara riflessione sul giornalismo. Regista tra i più impegnati politicamente, denuncia i soprusi delle istituzioni (Nel nome del padre, 1972, Matti da slegare, 1975, Marcia trionfale, 1976) alternando il documentario al cinema di finzione. Con a fianco lo psicanalista Massimo Fagioli gira Il diavolo in corpo (1986), inaugurando un prolungato percorso cinematografico lungo le rotte dell’inconscio. Nel 1997 porta sullo schermo un testo di Heinrich von Kleist, Il principe di Homburg con cui riscuote un grande successo di critica e di pubblico, riconfermandosi regista lucido, rigoroso e appassionato. Confermato il successo con una trasposizione cinematografica pirandelliana (La balia, 1999), volge la sua attenzione ai dilemmi del presente e della storia recente (L’ora di religione, 2002, Buongiorno, notte, 2003, Il regista di matrimoni, 2006). Unico italiano in concorso, nel 2009 partecipa al festival di Cannes con Vincere, ottenendo grandi apprezzamenti dalla critica internazionale. All’ultimo festival di Venezia ha presentato Sorelle mai, film in sei episodi di ambientazione familiare.

Michelangelo Frammartino nasce a Milano nel 1968. Nel 1991 si iscrive alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, contesto in cui matura l’interesse per la relazione fra gli spazi concreti e costruiti dell’abitare e la presenza dell’immagine fotografica, cinematografica o video. Nel 1997 si diploma in regia alla Civica Scuola del Cinema e continua autonomamente il proprio percorso di sperimentazione sull’immagine. Dal 2005 insegna Istituzioni di regia all’Università degli Studi di Bergamo. Tra le sue produzioni: Io non posso entrare (2002, vincitore Festival di Bellaria), Il dono (2003, premiato a Annecy, Thessaloniki, Belfort, Mons, Tiburon, Spalato, Bellaria, Varsavia), Le quattro volte (2010, presentato in anteprima al Festival del Cinema di Cannes, premiato nei festival di Cannes, Monaco, Sant’Arcangelo di Romagna, Bobbio, Annecy, Reykjavík).

Nato a Caserta nel 1976, Pietro Marcello si forma come assistente alla regia di Leonardo Di Costanzo e aiuto regista di Sergio Vitolo. Fin dai primi lavori (Il Tempo dei Magliari, Il cantiere, La baracca, Grand Bassan) la critica specializzata guarda con attenzione ai suoi documentari. Nel 2007 firma la regia de Il passaggio della linea, un documentario girato interamente sui treni espressi che attraversano l’Italia. Il film è stato presentato alla 64a edizione del Mostra del Cinema di Venezia all’interno della sezione Orizzonti e si è aggiudicato il Premio Pasinetti Doc e la Menzione speciale premio Doc/it. Nel 2009 realizza La bocca del lupo, ottenendo numerosi riconoscimenti nei principali festival internazionali del documentario (Torino Film Festival, Festival Cinéma du Réel di Parigi, Festival di Berlino, Festival di Buenos Aires). In Italia ha vinto il Nastro d’Argento e il David di Donatello per il miglior documentario dell’anno.

Enrico Magrelli, giornalista e critico cinematografico, è uno degli autori e conduttori del programma radiofonico quotidiano di Raitre Hollywood Party (la sua voce è quella più calda e posata). È stato direttore delle news di cinema di Tele+, poi autore e conduttore di Ciakpoint, un programma di Raisat Cinema. Dal 1979 al 1982 ha fatto parte dello staff ideativo e organizzativo di Carlo Lizzani alla Mostra del Cinema di Venezia. Dal 1988 al 1990 è stato Direttore della Settimana della Critica del festival veneziano. Nel 1991 è stato braccio destro di Guglielmo Biraghi alla Mostra del Cinema. Sue le monografie dedicate a Robert Altman, Roman Polanski, Nanni Moretti. Ha curato una dozzina di volumi tra i quali: Pier Paolo Pasolini, Marilyn Monroe, Rainer Werner Fassbinder, Nagisa Oshima, Satyajt Ray. Fa parte, dal 2004, della Commissione di Selezione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, manifestazione all’interno della quale lavora fianco a fianco con il direttore Marco Müller. Come autore televisivo ha firmato numerosi programmi, tra gli altri “Domenica in”, “Festival di Sanremo”, “Telegatti”, sette edizioni del “Concerto di Natale in Vaticano” e vari speciali dedicati al cinema. Dal 2009 è Conservatore della Cineteca Nazionale.