La “modern dance” americana, la cui storia copre l’arco del novecento con una straordinaria densità di talenti, vanta alcuni capisaldi irrinunciabili: la pioniera Martha Graham, per esempio, il cui corpo di drammi coreografici rappresenta uno dei massimi risultati creativi raggiunti dal teatro di danza occidentale, oppure il messicano (americano d’adozione) José Limón (Arcadia, Messico, 1908 – Flemington, New Jersey, 1972), che appartiene, come la Graham, alla generazione “storica” dei fondatori. A ognuno di questi capisaldi va ricondotta l’invenzione di un metodo, di una scuola, di una tecnica, di un nuovo modi di concepire strutturalmente il rapporto del movimento con lo spazio, con la musica, con i significati più reconditi della vicenda raccontata (visto che gli autori di questa generazione appaiono tutti condizionati dall’esigenza prioritaria di un impianto narrativo, e il ribaltamento operato dalla generazione successiva, quella di Cunningham e di Nikolais, consiste proprio in un’inversione radicale verso l’astrattismo). Sebbene quel mondo teatrale dei fondatori, impregnato di simbolismo e spesso enfatico nel suo descrittivismo estremo, corra il rischio di apparire, agli occhi di uno spettatore di oggi, superato da eventi più recenti, più vicini al nostro gusto e alla nostra cultura estetica, la riproposizione dei capolavori storici della danza moderna rappresenta sempre e comunque un’occasione d’interesse, da non considerarsi con il distacco clinico con cui si guarderebbe a un repertorio archeologico. Alcuni di quei capolavori – quelli definibili “classici”, nel senso più universalistico del termine – possono apparire ancora così espressivamente completi, così forti di una loro inalterata verità, da rendere vuota di significato qualsiasi usuale distinzione tra “classico” e “moderno”. Queste considerazioni si adattano a pennello alla José Limón Dance Company, la compagnia newyorkese che fu fondata da Limón che attualmente è diretta dalla danzatrice Carla Maxwell, che da più di dieci anni a questa parte, con devozione e tenacia, mantiene intatto il repertorio originale della compagnia, continuamente arricchendolo, integrandolo, di nuovi lavori composti da coreografi anche europei (i più recenti esempi: il francese Jean Cébron e la tedesca Susanne Linke).
D’altra parte Limón, il grande scomparso, colui che dà il nome alla compagnia, fu coreografo intimamente legato alla tradizione europea della danza moderna. Basti pensare che da giovane, reduce da studi di pittura, decise di votarsi alla danza dopo aver assistito a un recital newyorkese di Harald Kreutzberg e Yvonne Georgi, profeti dell’espressionismo coreografico tedesco negli Stati Uniti. José Limón, comunque, fu soprattutto creatura artistica di Doris Humphrey, una delle massime sacerdotesse della “modern dance” statunitense. E fu la stessa Humphrey a incoraggiarlo verso la coreografia, dopo averlo fatto lavorare nella sua troupe (sempre come interprete di ruoli protagonistici) dal 1930 fino al ’40. Nel ’45, Limón fonda la sua compagnia, che riunisce danzatori come Betty Jones, Ruth Currier, Lucas Hoving, Pauline Koner: una buona fetta dell’olimpo della “modern dance” americana. Limón chiede poi a Doris Humphrey di collaborare con la sua nuova troupe in veste di coreografa e, per la compagnia Limón, la Humphrey firma una serie di opere destinate soprattutto a mettere in luce le affascinanti doti di danzatore di José: solenne e carismatico sulla scena, gli splendidi lineamenti da indio, il corpo armonioso, il gesto ampio e nobile. Alcuni filmati ci conservano la sua immagine, di una solennità e drammaticità indimenticabili.
Profondamente segnato dalle sue origini messicane, attratto dai temi bellici e dalle tematiche sociali, fino alla morte José Limón s’impegna infaticabilmente nella creazione coreografica, che insieme all’attività didattica rappresenta la totalizzante “missione” dell’intera sua vita. I suoi titoli principali sono Danzas de muerte (1937), un pezzo dolorosamente ispirato agli eventi della guerra civile spagnola, Danzas mexicanas (1939), Eden Tree (1945), La Malinche (1949), The Exiles (1950), The Visitation (1952), che è un’insolita interpretazione dell’Annunciazione, The Traitor (1954), che narra la vicenda di Giuda e del suo tradimento,e ancora There is a Time e The Emperor Jones, entrambi pezzi del ’56, Missa Brevis, su musica di Kodály, del 1958, Choreographic Offering (1963, su musica di Bach), che è un omaggio a Doris Humphrey, My Son, My Enemy (del 1965, con Louis Falco come interprete), La Piñata (1969), The Unsung(1970), senza musica, un assolo in onore dei grandi capi indiani), Dances for Isadora (Chopin, 1971), Carlota, Orfeo (Beethoven, 1972).
Ma il capolavoro assoluto di José Limón resta The Moor’s Pavane, del 1949, una trattazione danzata della vicenda di Otello. In questo celebre lavoro su musica di Purcell, Limón utilizza i modelli formali della “modern dance”, cui si sovrappongono, in una traduzione gestuale fortemente drammaturgica, le antiche forme della danza popolare e cortigiana. Nella rappresentazione accesa delle passioni che sono al centro della vicenda dei quattro personaggi in scena (Otello, Desdemona, Jago e Emilia), la continuità delle forme basilari della tecnica Humphrey-Limón si fonde con l’eleganza severa di balli di corte (la pavana). The Moor’s Pavane risulta a tutt’oggi come un solenne quadro d’epoca, un’opera stagliata con imponente drammaticità, genialmente concepita nel disegno coreografico dei gesti e dei percorsi, sempre sintetici ed essenziali, con la grandiosità apocalittica di un estremo rituale. Risaltano i bei costumi rinascimentali disegnati da Pauline Lawrence, che fu la moglie di Limón.
There is a Time, altra celebre creazione firmata da Limón e inclusa (come The Moor’s Pavane) nel programma che la compagnia presenta al Festival di Rovereto, è un ampio poema coreografico articolato in dodici sezioni. Al centro è il “tempo”, inteso come nozione psicologica (c’è un tempo per ridere, un tempo per amare, e così via): tempo come fluire interminabile di movimento, tempo come evocazione di un’esperienza interiore che aspira all’eternità (il modulo ricorrente della coreografia è il cerchio, fulcro di tensioni all’infinito). La musica di There is a Time è stata composta da Norman Dello Joio, e gli fu commissionata (per Limón) dalla “Juilliard Music Foundation” nell’aprile del ’56, in occasione del Festival of American Music. Nel ’57 , per questa composizione, Dello Joio ricevette il Pulitzer Prize per la musica. Nato in America, Norman Dello Joio è noto soprattutto come autore di musiche destinate alle creazioni di importanti coreografi statunitensi. Ha collaborato spesso con Martha Graham.
Tra gli altri coreografi autori di creazioni presentate dalla José Limón Dance Company a Rovereto, spicca il nome di Anna Sokolow, autrice di Rooms. Artista sensibile e insegnante attivissima, nata nel ’13 negli Stati Uniti da una modesta famiglia di emigrati polacchi, per una decina d’anni danzatrice nella compagnia di Martha Graham, la Sokolov rappresenta una delle massime personalità della “modern dance” americana.