Un’ostrica dalle perle preziose
Oyster, degli israeliani Inbal Pinto e Avshalom Pollak, ha ricordato a qualche critico d’oltreoceano, che ha recensito questo spettacolo del 1999 alla Biennale Danza di Lione dedicata al Mediterraneo, i ballerini trasfigurati da Maguy Marin nella celebre Cendrillon. Forse il paragone non è del tutto convincente. Inbal Pinto, coreografa e soprattutto regista, con un solido background nelle arti visive e nel design, ha sino a oggi creato un suo teatro di movimento dove la danza sconfina nel mimo e la ginnastica si confonde con le acrobazie e i trucchi circensi; dove in scena si crea un universo fantastico e l’obiettivo non è quello di promuovere nuova o vecchia danza ma semmai di intrattenere con gioia, un pizzico di poesia e tante sorprese. Forse siamo più vicini allo storico e scomparso gruppo dei Mummenschanz che non alla Marin degli anni Ottanta, anche se Inbal sa governare la danza, specie quella di sala, con una sicurezza da vera professionista. E Oyster con le sue pietre preziose – tutte visive e corporee – lo conferma, come un’ostrica che poco alla volta dischiude i suoi doni occhieggiando al Carnevale, allo struggente mondo dei clown e a Fellini, nel disincanto certo appena sfiorato del film 8 ½. Con le sue lucette natalizie, le
piattaforme volanti, il palcoscenico mobile “dentro” il palcoscenico e gli oggetti magici e scintillanti,Oyster raccoglie una serie di “numeri” interpretati da tredici performer collegati tra loro da un’ampia varietà di suoni e musiche: dal
vento che soffia allo scampanio, dagli echi di partiture classiche a pezzi folk e pop con una spruzzata di mambo.Tornano le reminiscenze del felliniano 8 ½ nei costumi: vecchi tutù sovrastati da pantaloncini rosa sgargiante e scarpette a punta coi lacci neri per le donne, frac e colletti rigidi per gli uomini.Tutti vantano acconciature eccentriche e qualcuno non esita nella pezzatura capellona e distratta a somigliare ad Albert Einstein. Certo l’identità dei personaggi è volatile, inafferrabile. Ma Inbal Pinto, che deve a questo spettacolo la sua fama sempre più tentacolare, non intende raccontare una storia – anche se Oyster somiglia a una favola spezzettata o a un musical pasticcione per adultibambini – ma piuttosto suscitare ricordi e rincorrere sorprese.
Un uomo gigante è formato da due ballerini riuniti in un unico cappotto e la ballerina con le scarpette coi lacci somiglia a quelle bambole che sovrastano i carillon o le scatole dei gioielli. Un altro uomo vuole fare il dittatore (sarà una
punzecchiatura allo Stato d’Israele?) e una nonna, che potrebbe essere la guardarobiera di questo “teatro nel teatro”, con un paio di forbici taglia quei rigidi nastri che uniscono i danzatori in un eccitante ballo mimico di automi. Le piattaforme volanti scendono dal cielo per consentire la danza di un’acrobata che cammina sulle braccia e del suo partner. Altrove la stessa circense sarà mossa come il batacchio di una campana. Forse qualcuno si chiederà se siamo per caso di fronte a una sorta di Cirque du Soleil, meno tecnologico e levigato. La risposta è semplice.
Con le loro facce cosparse di biacca e i loro “numeri” nati da un artigianato della scena – che Israele non conosceva prima della nascita nel 1992 della Inbal Pinto Dance Company – gli interpreti di Oyster, spesso camuffati da automi, bambole e marionette potrebbero appartenere a un film di Tim Burton.Tra infanzia innocente e misteriosa e anormalità di mostri che appartengono ai sogni ma anche alla trasfigurazione del reale, questo spettacolo multiforme veleggia
nel suo universo solatio e annuvolato a una certa distanza da tutto ciò che conosciamo o ci aspettiamo di vedere.