PRIMA NAZIONALE
Formatasi alla danza tradizionale coreana e alle pratiche sciamaniche, Eun-Me Ahn ha conquistato le principali tecniche di danza moderna nella Grande Mela, dove si è inoltre diplomata alla Tisch School of the Arts. Figura di spicco della scena artistica sudcoreana, Eun-Me Ahn ha curato le coreografie per l’apertura della Coppa del Mondo FiFA 2002 a Seoul ed è stata direttrice della Daegu Metropolitan City Dance Company dal 2001 al 2004. Dai primi anni 2000 i suoi lavori sono apparsi in Europa, Germania e Francia soprattutto. Amica di Pina Bausch che più volte, prima della scomparsa, l’ha invitata a Wuppertal a presentare i suoi intensi assoli, Eun-Me Ahn è donna dalla testa rasata che ama indossare abiti coloratissimi. Tradizione e modernità confluiscono nella sua persona come nei lavori coreografici, aperti a molteplici letture e pervasi da un fascino misterioso. Attraverso la danza, Eun-Me Ahn prova ad affermare una libertà ancora negata dalla società sudcoreana retta da codici antichi come dimostra Let me change your name, lavoro acclamato, che approda in prima italiana a Rovereto. Il titolo è insieme invito e provocazione, trattando attraverso una coreografia incalzante il tema dell’identità di genere e il posto dell’individuo nella società moderna. Ottanta minuti di rara coerenza in cui si dispiegano incanto e contrasti, ossessioni e riti con i danzatori che passano dall’oscurità alla luce, dal nero ai colori fluorescenti, dalla gravità allo humor, dalla concitazione all’ipnosi della transe. Linguaggio coreografico volutamente ibrido, sospeso tra gioia e gravità, discodance e rito sciamanico. E lo sciamanesimo appartiene proprio a Eun-Me Ahn, che per tre volte appare in scena, inframmezzando le danze dei suoi otto danzatori, dapprima indossando un lungo abito nero, poi in rosso acceso e infine a seno nudo con gonna bianca. I suoi intermezzi sembrano introdurre un ‘cambiamento di stato’ attraverso il rito, tanto che i danzatori dopo le sue apparizioni cambiano pelle (e costumi) danzando fino a perdere se stessi e la determinazione di genere nel vortice ritmico. I vestiti cambiano foggia – dal più tradizionale abito lungo nero a gonnellini stretch multicolor – e si trasformano in fruste e fasce unisex che conducono verso una poetica androginia. Per ribadire che il corpo, la sessualità e i vestiti non fanno una persona.
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