Sono passati trent’anni da quando Ginette Laurin ha cominciato la sua avventura coreografica, fondando a Montréal la compagnia O Vertigo. Un nome che di per sé è un programma: la vertigine e il limite come punto di partenza per una danza energica e incalzante, spinta fino all’esplorazione dell’irrefrenabile attrazione per gli opposti. Un linguaggio unico, ricco d’inventiva, una scrittura raffinata e poetica quella di Ginette Laurin dispiegata in oltre cinquanta creazioni dal 1984 a oggi. Spettacoli come La Chambre blanche (1992, ricreato nel 2008), En Dedans (1997), Passare (2004), insigniti di numerosi premi internazionali, marcano il suo percorso e il suo spirito indefesso verso nuove sfide.
Khaos, che apre Oriente Occidente 2015, è il suo penultimo lavoro nato da un nuovo confronto con le tecnologie e lo studio della relazione tra suono e movimento. In Khaos, come nel nostro mondo, i corpi devono trovare un posto. “Il mondo è agitato - spiega la coreografa - la natura geme, trabocca. Gli essere umani gridano, hanno fame. Come possiamo raccontare tutto questo? Continuando a danzare e a creare, per vivere, per sopravvivere. Afferrando il caos, per giocarci e superarlo con astuzia”. Così immerge i suoi nove danzatori in uno spazio-scultura ideato da Marilène Bastien, una sorta di canneto interattivo dotato di sensori sonori e sensoriali che è al tempo stesso zona di frontiera, prigione e rifugio momentaneo. Lì dentro c’è un’effervescenza frenetica. Lì, nel canneto, le pulsazioni cardiache dei danzatori vengono amplificate, le confidenze riverberate, i diversi rumori prodotti riproposti in una sorta di colonna sonora umana che si innesta contrappuntisticamente con la composizione di Martin Messier. In questo luogo tumultuoso in cui i corpi devono trovare il loro spazio per sfuggire alla follia del tempo presente, Laurin calibra una danza sospesa tra ordine e disordine, minuziosamente composta per dare un senso di disorientamento. Per far affiorare paure, testimoniare quanto la vita possa essere spinosa, con l’audacia di corpi abbandonati alla loro intensità.