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03/09/1985 - 19:00

Teatro Zandonai

Katha Vachak - La danza del cantastorie

Katahk è solo una delle cinque principali forme di danza classica indiana, ma gode di certe distinzioni che la pongono in una categoria a parte. Una delle sue caratteristiche socio-artistiche più rilevanti è, per esempio, di essere l’unica forma di danza classica indiana che si esegua con musica indostana (o del Nord); ma soprattutto essa è la sola danza legata alla cultura mussulmana. 
La parola Kathak deriva dalla radice Katha, “racconto”, “storia”, e i Kathak erano originariamente cantastorie, un po’ come i Sutas, i cantastorie, appunto, del Mahabarata a loro volta progenitori dei Chakiar, gli avi del Kathakali. In modo consimile i Kathak cominciarono a corredare di brevi momenti gestuali il racconto delle proprie storie. Scosso dal turbine gigantesco del movimento religioso della Bhakti il Kathak entrò in relazione con il fortunatissimo esempio di teatro popolare, il Ras Lila, incentrato sull’amore divino di Krishna e Radha. Le parti danzate di cui esso si compone si possono definire un ampliamento della elementare base mimico-gestuale dei cantastorie Kathak combinata con suggestioni di danze popolari locali. Dalla matrice induista e specificatamente visnuita e addirittura, come si è detto, krishnaita, il Kathak passò, con l’avvento dell’impero Moghul alle corti mussulmane sviluppando e accentuando il suo carattere di intrattenimento e di “a solo” virtuosistico. Cresciuto grazie al patrocinio dei nawabs mussulmani e dei raja indu (il Raja Chakradhar Singh di Raigarth morto in felicissimo nel 1945, perché gli inglesi, preoccupati da questa monomania, l’avevano privato della danza, riceveva nella sua reggia con splendide accoglienze ogni Kathak, senza discriminazioni di abilità o talento, che si trovasse a passare sul suo regno) il Kathak si ritrovò ad essere, alla fine dell’Ottocento, la sola forma di danza classica di una vasta parte del Nord. Popolare come ormai era divenuto, il Kathak vantava diverse scuole o caratteristiche (gharanas), ma oggi tuttavia il suo stile tende a divenire sempre più omogeneo. 
Nella forma tradizionale gli strumenti veramente indispensabili alla danza non sono che due, il saranghi, uno strumento ad arco, e le celebri tabla: a questo vanno aggiunti circa duecento ghunghru. ghunghrusono piccoli campanelli ordinati in numerose file sovrapposte che i danzatori allacciano intorno alle caviglie. Fra le caratteristiche della danza è famosissimo il prodigioso gioco di piedi che la contraddistingue. Uno dei ripetuti momenti dello spettacolo consiste sempre in una sorta di dialogo, spesso una “siticomitia” sempre più incalzante, che arriva a farsi gara, fra danzatore e tablista. Il primo, che in certe parti dello spettacolo è anche cantante, suggerisce onomatopeicamente con la voce, tramite sillabe senza significato organizzate in modi particolare, un preciso crepitio ritmico. Lo realizza poi per primo barrendo i piedi nudi sul pavimento e il tablista ne esegue con le dita la sua versione sui tamburi proponendo poi a sua volta altre invenzioni ritmiche replicate immediatamente dal danzatore-antagonista. In questa sventagliate di scariche ritmiche i campanelli raddoppiano su tonalità brillanti il suono scuro dei piedi sul pavimento con una gamma che dal fortissimo si smorza in un pianissimo in cui, tra virtuosismo e leggenda, si afferma che il grande danzatore di Kathak arriva a controllare il suono di ciascuno dei suoi ghunghru. Siamo nel regno del nritta, la danza pura, che al battito rapidissimo dei piedi, aggiunge, altra vistosa caratteristica di ulteriori prove di virtuosismo, gli inserti dei thai: giri ritmici eseguiti in finale di sequenza con piroette vertiginose, i famosi chakars, in numero multiplo di tre (nove, ventisette, trenta o più) chiuse di colpo con una posa statica di totale immobilità. 
L’altra grande partizione tradizionale della danza, l’abhinaya o recitazione pantomimica, è assicurata essenzialmente dai pezzi di Gat e del Thumri. I primi sono pezzi mimati, privi di testo, che elaborano, su sfondo puramente musicale, temi tratti dalle vicende di Radha e Krishna con particolare concentrazione lirica; il secondo si sviluppa, come nella prassi dell’abhinaya tradizionale  delle altre danze, in rapporto a testo poetici cantati 8talora, si diceva, dal danzatore medesimo) su semplicissimi versi melodici indefinitamente ripetuti. È questo il momento del sanchary bhava o “improvvisazione”, in cui il danzatore espone inesauste variazioni del testo esegito: per esempio la parola “sentiero” viene indicata nel significato letterale, ma si tramuta poi nella “riga” che divide le chiome di Radha, nella “rima” delle palpebre segnate dal collirio e così via. 
Qui il grande virtuosismo dei piedi è scomparso, nell’abhinaya il danzatore è quasi fermo, talvolta addirittura seduto: tutta la sua abilità è concentrata sulla parte superiore del corpo con particolare riguardo al volto e agli occhi. 
Il Kathak richiede al pubblico colto occidentale una certa particolare attenzione per via di alcune associazioni che ancora possono disturbare. 
In effetti tutto quello che passa per danza classica nei film variamente popolari o dozzinale di argomento indiano ha una certa grossolana relazione con le vicende del Kathak. Per molto tempo questa danza è stata infatti in relazione con le famose nautch, le ballerine importate dalla Persia ai tempi dei Moghuls per i loro harem, che davano alla danza un particolare carattere di sensualità e di lascivia. La purezza e la dignità artistica sono state preservate dalla tradizione maschile degli esecutori e la riforma recente della sua codificazione classica si basa essenzialmente sulla ricchezza di questa trasmissione che fonde i due capisaldi della origine religiosa induista e della raffinatezza cortese mussulmana.