Documentario, finzione, teatro, tv. Quello di Marco Bellocchio è un percorso lungo e stratificato mosso in tutte le sue volute da un’indubbia originalità e da un’ostinata passione per la ricerca. Sia nei modelli di messinscena (il documentario, le regie operistiche, il film di finzione), sia nei soggetti prescelti per le proprie avventure cinematografiche (le dinamiche familiari della piccola borghesia, la psiche, gli anni di piombo, la storia italiana), il suo cinema testimonia un’irriducibile tensione che spinge a scavare nel proprio specchio per trovarvi riflesse le immagini del mondo. Tra i registi più raffinati della storia del cinema italiano, Bellocchio è senza dubbio uno degli autori in cui la mediazione tra realtà e finzione, tra restituzione e (re)invenzione del reale è condotta con maggior consapevolezza. Molto del suo cinema sembra abitare un mondo di mezzo sospeso tra sogno e realtà: i suoi personaggi, anche quelli storicamente più connotati come Moro e Mussolini, vivono una doppia vita, quella consegnatagli dalla storia e quella rivissuta sullo schermo. Per non parlare, restando all’ultimo riuscitissimo progetto del regista piacentino, del Rigoletto di Verdi, che nel “film in diretta TV” cucito da Bellocchio con incredibile eleganza ha superato i limiti angusti del palcoscenico e si è fatto cinema. Cinema maiuscolo.
Nato e cresciuto a Bobbio, Marco Bellocchio frequenta in giovane età il Centro sperimentale di cinematografia di Roma. Il suo primo film, I pugni in tasca (1965), è uno degli esordi più maturi e sfrontati della storia del cinema italiano. Dopo La Cina è vicina (1967), film slogan sulla borghesia italiana, gira tra gli altri Sbatti il mostro in prima pagina (1972), amara riflessione sul giornalismo. Regista tra i più impegnati politicamente, denuncia i soprusi delle istituzioni (Nel nome del padre, 1972, Matti da slegare, 1975, Marcia trionfale, 1976) alternando il documentario al cinema di finzione. Con a fianco lo psicanalista Massimo Fagioli gira Il diavolo in corpo (1986), inaugurando un prolungato percorso cinematografico lungo le rotte dell’inconscio. Nel 1997 porta sullo schermo un testo di Heinrich von Kleist, Il principe di Homburg con cui riscuote un grande successo di critica e di pubblico, riconfermandosi regista lucido, rigoroso e appassionato. Confermato il successo con una trasposizione cinematografica pirandelliana (La balia, 1999), volge la sua attenzione ai dilemmi del presente e della storia recente (L’ora di religione, 2002, Buongiorno, notte, 2003, Il regista di matrimoni, 2006). Unico italiano in concorso, nel 2009 partecipa al festival di Cannes con Vincere, ottenendo grandi apprezzamenti dalla critica internazionale. All’ultimo festival di Venezia ha presentato Sorelle mai, film in sei episodi di ambientazione familiare.
Enrico Magrelli, giornalista e critico cinematografico, è uno degli autori e conduttori del programma radiofonico quotidiano di Raitre Hollywood Party (la sua voce è quella più calda e posata). È stato direttore delle news di cinema di Tele+, poi autore e conduttore di Ciakpoint, un programma di Raisat Cinema. Dal 1979 al 1982 ha fatto parte dello staff ideativo e organizzativo di Carlo Lizzani alla Mostra del Cinema di Venezia. Dal 1988 al 1990 è stato Direttore della Settimana della Critica del festival veneziano. Nel 1991 è stato braccio destro di Guglielmo Biraghi alla Mostra del Cinema. Sue le monografie dedicate a Robert Altman, Roman Polanski, Nanni Moretti. Ha curato una dozzina di volumi tra i quali: Pier Paolo Pasolini, Marilyn Monroe, Rainer Werner Fassbinder, Nagisa Oshima, Satyajt Ray. Fa parte, dal 2004, della Commissione di Selezione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, manifestazione all’interno della quale lavora fianco a fianco con il direttore Marco Müller. Come autore televisivo ha firmato numerosi programmi, tra gli altri “Domenica in”, “Festival di Sanremo”, “Telegatti”, sette edizioni del “Concerto di Natale in Vaticano” e vari speciali dedicati al cinema. Dal 2009 è Conservatore della Cineteca Nazionale.