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07/05/2009 - 19:00

Auditorium Melotti

Il cinema è morto, lunga vita allo schermo/Tulse Luper

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Figura di spicco del cosiddetto “rinascimento” del cinema inglese, Peter Greenaway è un regista prolifico che in oltre venticinque anni di attività, sedici lungometraggi e uno sterminato numero di cortometraggi, ha tracciato un percorso artistico esemplare nel quale sono confluiti non solo il suo straordinario eclettismo e i suoi interessi ma anche una naturale predisposizione ad avventurarsi verso nuove frontiere.

Amante ed esperto di pittura, concepisce il cinema come arte figurativa. Il suo sguardo si volge all’indietro, ai suoi pittori preferiti – Tiepolo, Veronese, Bronzino e più in generale tutto il barocco e il manierismo – ma la sua creatività riesce a dare nuova vita a quei capolavori trasformandoli in scenari naturali o riferimenti per le storie raccontate dal suo cinema.

Basta percorrere sommariamente la sua grande produzione per cogliere, accanto alla centralità dell’elemento iconografico, anche un confronto continuo con il concetto di sperimentazione. Da I misteri del giardino di Compton House (1982) a Lo zoo di Venere (1985), da Il ventre dell’architetto (1987) a Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante (1989) passando poi per L’ultima tempesta (1991), I racconti del cuscino (1995), Le valige di Tulse Luper (2003) o Nightwatching (2007) e Rembrandt's J'accuse (2008), Greenaway cerca di superare i limiti del cinema tradizionale. Una tensione, questa, che lo spinge anche a ricorrere alla tecnologia digitale nell’intenzione di dare forma a un genere di opera cinematografica non vincolata a un solo punto di vista, ma fruibile in maniera multidimensionale. Sono i nuovi orizzonti della settima arte e di questi il regista inglese parla nell’incontro dal titolo Il cinema è morto, lunga vita allo schermo – al cui termine viene proiettato anche il cortometraggio Rosa realizzato assieme alla coreografa Anne Teresa de Keersmaeker della compagnia belga Rosas - e ne fornisce anche un esempio concreto nella VJ performance Tulse Luper.

Un progetto multimediale, quest’ultimo, messo in scena per la prima volta nel 2005 durante una serata al Club 11 di Amsterdam, dedicata alle arti visive. Grazie a un particolare sistema composto da uno schermo touchscreen, Greenaway seleziona e mixa in diretta le immagini tratte dalle 92 storie di Tulse Luper che vengono proiettate su maxischermi accompagnate dalle musiche del dj Serge Dodwell, più noto col nome d’arte di Radar.

È il nuovo cinema - o almeno una delle sue declinazioni - capace di creare e raccontare storie in tempo reale, di sondare e percorrere in continuazione nuove traiettorie, di liberarsi dalla narrazione predefinita.

 Peter Greenaway VJ

Radar (a.k.a. Serge Dodwell) DJ