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Auditorium Melotti, Rovereto

Film - Pugni in tasca

Film - 107'

proiezioni-novembre

In una villa di campagna vivono una madre cieca e i suoi quattro figli. Una vita familiare difficile, segnata da profondi problemi psichici. Augusto, il più “normale”, aspira a una famiglia, al benessere e all’integrazione sociale. I fratelli Alessandro e Leone, come la sorella Giulia, soffrono invece di disturbi mentali. Nemmeno venticinquenne, Bellocchio firma soggetto, sceneggiatura e regia di una delle opere più folgoranti e dissacranti del cinema italiano degli anni Sessanta, messa in scena con un linguaggio ellittico e una sintassi nervosa molto vicina alle temperature emotive della Nouvelle Vague . Dopo aver ottenuto a Locarno la Vela d’Argento per la miglior regia e grazie all’aura di opera maledetta subito conquistata, il film d’esordio di Bellocchio divenne un caso nazionale e su di esso intervennero gli intellettuali più prestigiosi (Soldati, Moravia, Calvino, Pasolini). Dopo Ossessione di Visconti non c’era mai stato nel cinema italiano un esordio così clamoroso e autorevole. Sempre sull’orlo del grottesco, un gelido ritratto di borghesia in nero e un grande film sulla desertificazione morale della società italiana. Duro, crudele, angoscioso.

Nato e cresciuto a Bobbio, Marco Bellocchio frequenta in giovane età il Centro sperimentale di cinematografia di Roma. Il suo primo film, I pugni in tasca (1965), è uno degli esordi più maturi e sfrontati della storia del cinema italiano. Dopo La Cina è vicina (1967), film slogan sulla borghesia italiana, gira tra gli altri Sbatti il mostro in prima pagina (1972), amara riflessione sul giornalismo. Regista tra i più impegnati politicamente, denuncia i soprusi delle istituzioni (Nel nome del padre, 1972, Matti da slegare, 1975, Marcia trionfale, 1976) alternando il documentario al cinema di finzione. Con a fianco lo psicanalista Massimo Fagioli gira Il diavolo in corpo (1986), inaugurando un prolungato percorso cinematografico lungo le rotte dell’inconscio. Nel 1997 porta sullo schermo un testo di Heinrich von Kleist, Il principe di Homburg con cui riscuote un grande successo di critica e di pubblico, riconfermandosi regista lucido, rigoroso e appassionato. Confermato il successo con una trasposizione cinematografica pirandelliana (La balia, 1999), volge la sua attenzione ai dilemmi del presente e della storia recente (L’ora di religione, 2002, Buongiorno, notte, 2003, Il regista di matrimoni, 2006). Unico italiano in concorso, nel 2009 partecipa al festival di Cannes con Vincere, ottenendo grandi apprezzamenti dalla critica internazionale. All’ultimo festival di Venezia ha presentato Sorelle mai, film in sei episodi di ambientazione familiare.