Amor sacro, amor profano è un progetto sulla leggenda zingara proposto a Rovereto dal Teatro Tascabile di Bergamo, struttura che da più di vent’anni si occupa attivamente di teatro e danza orientali, indagando possibili contaminazioni con forme sceniche appartenenti ad altre culture. L’idea sottesa al trittico di spettacoli di Amor sacro, amor profano è di ipotizzare un percorso spettacolare articolato sulle tracce di un nomadismo culturale che lega la tradizione del Kathak indiano al flamenco andaluso. Il viaggio parte quindi dal deserto del Rajasthan e dalle sue danze di corte per concludersi nei quartieri gitani dell’Andalusia meridionale. Il legame tra il Kathak e il flamenco lo si scopre non soltanto recuperando l’accreditata tesi secondo la quale i gitani sarebbero emigrati dall’India in Europa ai tempi dell’invasione mussulmana, ma tentando un esperimento che, accostando dal vivo le due forme spettacolari, ne metta in evidenza le assonanze stilistiche e i nessi antropologici. Il trittico si apre con Katha Vachak (La danza dei cantastorie). Lo spettacolo è proposto dal Kadamb - Centre for Dance & Music of Kumudini Lakhia. Kumudini Lakhia è un’anziana signora che oggi rappresenta un’istituzione nello sviluppo del Kathak. Ex danzatrice, ha smesso di esibirsi quando ha deciso di fondare a Ahmedabad il Centro Kadamb nel quale formare danzatori di Kathak. Con la compagnia Kadamb ha prodotto più di 50 spettacoli, presentati in India e in varie parti del mondo, ottenendo personalmente importanti riconoscimenti tra cui il Premio conferitole dalla città di Ahmedabad nel ‘97, in occasione del 50° anniversario dell’Indipendenza Indiana. Il Kathak è una delle sette principali forme di danza indiana. Si esegue su musica indostana, del Nord dell’India, ed è l’unica danza del paese legata alla cultura mussulmana. La radice della parola “kathak”, “katha”, significa racconto, termine che dà agli originari interpreti del kathak il ruolo di cantastorie. Segnala il Teatro Tascabile che il Kathak ha anche relazione con il Ras Lila, una forma di teatro popolare che trattava dell’amore divino tra Krishna e Radha. Le parti danzate del Ras Lila sono una sorta di ampliamento della base di gesti mimati dei cantastorie kathak. Le esibizioni dei danzatori sono accompagnate da due ordini di strumenti: il saranghi, strumento ad arco, e i piccoli tamburi tabla. Il suono deriva però in modo portante anche dai circa duecento ghunghru, i campanelli portati dai danzatori attorno alle caviglie. Tra danzatori e suonatori di tabla si creano dialoghi serrati che si articolano sul contrasto ritmico tra strumenti, canto, e le famose variazioni dei piedi. Questi dialoghi rientrano nel nritta, la danza pura, mentre le parti pantomimiche appartengono all’abhìnaya, e vedono il danzatore concentrarsi non più sui movimenti dei piedi, ma sulla parte superiore del corpo, in particolare sul viso e sugli occhi. Renzo Vescovi, direttore del Teatro Tascabile di Bergamo, ha scelto il Khatak di Kumudini Lakhia, dopo aver incontrato l’artista a una conferenza dimostrativa sul kathak tenutasi a Madras. Affascinato da questa signora della scena indiana, l’ha seguita nel suo Centro di Ahmedabad, dove il kathak è insegnato nei suoi diversi livelli e sviluppi a molti allievi. Antonio El Pipa, danzatore di flamenco che porta a Rovereto lo spettacolo Duende, viene invece da Jerez, in Spagna. Spiega Vescovi: “I danzatori di flamenco si distinguono tra quelli “accademici” il cui stile si fonda anche sulla tecnica del balletto classico spagnolo e i bailores il cui modo di danzare è nettamente legato alla leggenda gitana e zingara del flamenco. El Pipa è un puro bailor, ha imparato a danzare dalla nonna Tia Juana, una leggenda per Jerez. Duende è tratto da un lavoro che si intitola Generaciones, in cui il flamenco ha il volto e lo stile di tre generazioni, quella di Tia Juana, quella di Antonio e quella di una bambina. Con El Pipa lui il flamenco ha ancora il timbro di una danza che suggella il trionfo contro le avversità, la lotta contro la cultura anti-gitana”. Il terzo spettacolo del progetto Amor sacro, amor profano si intitola Le Orme: vi interagiscono la compagnia di Kumudini Lakhia, quella di El Pipa e il Teatro Tascabile di Bergamo - Accademia delle Forme Sceniche. Ancora Vescovi: “E’ una sorta di spettacolo fantasma, ideato per far scoprire al pubblico le affinità tra il khatak e il flamenco. Vorrei che gli spettatori vivessero un percorso di “agnizione”, scoprendo le somiglianze, al di là dei costumi, dei movimenti delle mani, delle caviglie, dei piedi”. Lo spettacolo inizia con un’introduzione del Teatro Tascabile sull’India mitica, sorta di viaggio nel tempo al recupero di quegli archetipi veri e falsi che appartengono all’immaginario collettivo. Per poi tentare una vera e propria esperienza di contaminazione tra flamenco e kathak, sia attraverso elaborazioni musicali tra le due culture, sia con momenti di meticciato stilistico, in cui, ad esempio, il kathak viene ballato con stivali da flamenco, mentre la danza gitana viene ballata a piedi nudi. Coinvolti una trentina di artisti in una “scorribanda ritmica” non casuale, ma derivante da una ricerca sulla civiltà nomade che merita senz’altro di essere approfondita. Amor sacro, amor profano è un progetto sulla leggenda zingara proposto a Rovereto dal Teatro Tascabile di Bergamo, struttura che da più di vent’anni si occupa attivamente di teatro e danza orientali, indagando possibili contaminazioni con forme sceniche appartenenti ad altre culture. L’idea sottesa al trittico di spettacoli di Amor sacro, amor profano è di ipotizzare un percorso spettacolare articolato sulle tracce di un nomadismo culturale che lega la tradizione del Kathak indiano al flamenco andaluso. Il viaggio parte quindi dal deserto del Rajasthan e dalle sue danze di corte per concludersi nei quartieri gitani dell’Andalusia meridionale. Il legame tra il Kathak e il flamenco lo si scopre non soltanto recuperando l’accreditata tesi secondo la quale i gitani sarebbero emigrati dall’India in Europa ai tempi dell’invasione mussulmana, ma tentando un esperimento che, accostando dal vivo le due forme spettacolari, ne metta in evidenza le assonanze stilistiche e i nessi antropologici. Il trittico si apre con Katha Vachak (La danza dei cantastorie). Lo spettacolo è proposto dal Kadamb - Centre for Dance & Music of Kumudini Lakhia. Kumudini Lakhia è un’anziana signora che oggi rappresenta un’istituzione nello sviluppo del Kathak. Ex danzatrice, ha smesso di esibirsi quando ha deciso di fondare a Ahmedabad il Centro Kadamb nel quale formare danzatori di Kathak. Con la compagnia Kadamb ha prodotto più di 50 spettacoli, presentati in India e in varie parti del mondo, ottenendo personalmente importanti riconoscimenti tra cui il Premio conferitole dalla città di Ahmedabad nel ‘97, in occasione del 50° anniversario dell’Indipendenza Indiana. Il Kathak è una delle sette principali forme di danza indiana. Si esegue su musica indostana, del Nord dell’India, ed è l’unica danza del paese legata alla cultura mussulmana.