Infaticabile ricercatrice, Anne Teresa De Keersmaeker ha esplorato nel corso della sua carriera più che ventennale, paesaggi musicali di diversa natura. Sperimentatrice senza frontiere, ha portato sulla scena i suoi danzatori e, assai più raramente se stessa, con una gamma infinita di colonne sonore sulle quali ha cercato e ideato nuove modalità espressive e di movimento. Senza limiti né frontiere, i suoi lavori spaziano dalle musiche minimaliste di Steve Reich, alla partiture create per lei da Thierry de Mey, alle opere di Monteverdi, Mozart e Bach, passando attraverso Bartók, Schönberg e Ligeti, il jazz di Miles Davis, le ballate di Joan Baez e, in tempi recenti, la musica classica indiana. Prende le mosse da quest’ultimo ‘amore’ la produzione Desh che Oriente Occidente ospita in prima e esclusiva italiana. Creata nel 2005 a quattro mani con il danzatore spagnolo Salva Sanchis, suo allievo al PARTS in anni lontani e interprete prediletto di produzioni quali Bitches Brew/Tacoma Narrows vista anche a Oriente Occidente nel 2003, Desh è un pezzo strutturato in cinque tempi secondo un andamento che l’autrice ha definito ‘a arco’: si apre e si chiude con due duetti, al centro c’è un trio, preceduto e seguito da due assoli. Pezzo intimo per soli tre interpreti - De Keersmaeker, Sanchis e Marion Ballester – Desh si apre sul Raga Desh, da cui prende il titolo, si declina in un duo per flauti, Raag Khamaj, sulle percussioni di Tavil Tani, sul brano Dhun di Hariprasad Chaurasia e su India di John Coltrane, storico Lp del 1961 registrato al Village Vanguard. Come è risaputo raga in sanscrito significa ‘colore, atmosfera’, e ogni raga è una serie di suoni, una melodia con una nota fondamentale fissa. Ogni raga possiede un carattere e una personalità, corrisponde a uno stato d’animo particolare e nel caso del raga desh è frequentemente associato al tema dell’assenza dell’amato. Ma la bellezza di questo pezzo va ricercata soprattutto nel vocabolario coreografico dominato dagli impulsi delle braccia, dalle articolate posizioni delle mani, dai balance che trascinano i corpi in posizione di disequilibrio, nelle sospensioni dei corpi nell’aria. Una pièce sospesa tra fragilità e forza, tra calma e ritmi forsennati che conducono alla transe. Scrive bene Jean-Marie Wynants sul quotidiano Le Soir a proposito di Desh: “Quando tutto finisce e torna la luce in sala si ha l’impressione di riaprire gli occhi dopo una profonda meditazione”. Sbaglia però chi pensa a Anne Teresa De Keersmaeker come ad un autrice esclusivamente di segno astratto, a una coreografa cesellatrice di gesti e corpi che inondano lo spazio trascinati dalla musica apparentemente privi di ‘racconto’. Esiste una De Keersmaeker ‘impegnata’, ‘narrativa’ come dimostra l’altro lavoro, Once, presentato al Festival quest’anno.