L’Arte musicale nelle diverse civiltà ha per punto di partenza il ruolo che viene attribuito alla musica. La musica dell’India, come quella della Grecia antica, tende a creare un clima emotivo, a provocare negli ascoltatori stati d’animo, a farli entrare in una “rêviere” che agisce profondamente su di loro distaccandoli dalle preoccupazioni quotidiane, un po’ come farebbe una droga.
Il sistema di organizzazione dei suoni scelto per arrivare a questo fine è il sistema modale che consiste in una scala stabilita in rapporto ad un bordone fisso, la tonica. Il vantaggio di questo sistema è che ogni nota della scala del modo scelto corrisponde allo stesso suono, alla stessa frequenza. Questo significa, per esempio, che una certa terza minore, alla quale è attribuita un’espressione particolare, corrisponde sempre alla stessa frequenza, alla stessa nota.
Questo suono, ripetuto ed atteso, agisce poco a poco sul sistema uditivo e sulle sue corrispondenze mentali. L’orecchio diviene sempre più sensibile e ciò per mette una precisione nell’intervallo espressivo sconosciuta negli altri sistemi. È così che la musica indiana può, ad esempio, distinguere tre tipi di terze minori di cui una a carattere melanconico, la seconda affettuoso e la terza espansivo.
Il musicista stabilisce mentalmente il quadro del modo, del raga, che comporta non solo le note della scala ma anche la loro frequenza, il loro scruti, le maniere di avvicinarle e di abbellirle. Il musicista improvvisa, cioè passeggia attraverso le note del raga, formando arabeschi, melodie evanescenti, formule ritmiche. Non può esistere melodia fissa in un sistema realmente modale perché la coscienza verticale dell’insieme delle strutture del raga è distrutta dalla memoria orizzontale delle linee melodiche prestabilite ed il modo perde di precisione ed intensità. Non esistono dunque opere musicali, brani che si possano trascrivere e ripetere nella musica indiana. È il musicista che vive e fa vivere questa musica effimera. La musica indiana è dunque in un certo senso più vicina al jazz che alla musica classica occidentale, poiché nel jazz è il musicista, l’interprete, che crea il clima e non tanto il brano o il tema, spesso insignificanti di per sé stessi.
La musica indiana è un’esperienza emotiva alla quale bisogna sapersi abbandonare, che bisogna saper subire senza cercare di analizzarla. Ascoltata in questo spirito, essa offre una dimensione nuova alle possibilità dell’arte musicale e permette di raggiungere un livello di emozione che non si ritrova il alcuna altra musica. Essa appare allora come il linguaggio stesso dell’anima.
Alani Daniélov