Reinhild Hoffmann: uno dei personaggi chiave del tanztheater tedesco. Il suo percorso si intreccia con quello di Susanne Linke, Pina Bausch, Gerhard Bohner, Hans Kresnik, come lei protagonisti “in primis” di una delle forme di spettacolo più stimolanti di origine europea.
Il nome della Hoffmann per molti anni si è associato al Bremer Tanztheater. Prima in co-direzione con Kresnik (‘78/’81), poi da sola (‘81/’86), l’artista tedesca ha infatti guidato per quasi un decennio il gruppo di Brema, firmando opere di grande respiro come “Callas” (’83), “Dido und Aeneas” (’84), “Föhn” (’85).
Autrice dall’estetica raffinata, attenta al particolare, la Hoffmann è maestra nel montaggio di spettacoli fantasiosi, ricchi, ben calibrati. L’incomunicabilità, la difficoltà dei rapporti tra uomo e donna, la violenza contro il sesso femminile sono alcuni dei temi ricorrenti dei suoi lavori.
Come la Linke, anche la Hoffmann ha studiato alla Folkwanghochschule di Essen ed ha danzato nel Folkwang-Tanzstudio. E’ in quest’ambito che ha iniziato la sua attività coreografica nel ’75, anno in cui è diventata insieme alla Linke direttrice artistica dello stesso Folkwang-Tanzstudio. Il suo percorso nella danza solistica ha tempi diversi rispetto alle analoghe esperienze di Bohner e della Linke. Infatti la Hoffmann inizia la sua carriera di coreografa creando per lo più assoli, contrariamente a Bohner e alla Linke che si dedicheranno alla danza solistica già da autori affermati. Basti citare a proposito lo straordinario “Solo mit Sofa”, creato dalla Hoffmann nel ’77 a Essen.
Già in questo celebre pezzo, la tipica estetica dell’autrice era chiaramente definita. La lotta contro le costrizioni del sociale si riflettevano nel contrasto estenuante tra protagonista e oggetto scenico, binomio da allora assai frequentante. Ne è esempio la famosa serata solistica dell’80, che, accanto a “Solo mit Sofa”, presentava “Bretter”, pietre in “Steine “ per rappresentare simbolicamente le problematiche sociali e personali della vita quotidiana. Dall’86 Reinhild Hoffmann si è trasferita allo Schauspielhaus di Bochum con buona parte dei suoi danzatori.
Oggi è ancora a Bochum, ma la direzione del suo lavoro è ultimamente cambiata. Se in Francia i coreografi contemporanei sembrano essere sempre più inclini alla costituzione di un repertorio e se gli anni ’90 hanno visto la Bausch rimontare antichi pezzi come “Iphigenie auf Tauria” è “Orpheus und Eurydike”, a Bochum la Hoffmann opta per tutt’altra scelta. Con un taglio netto al passato, l’artista tedesca ha deciso di voltare pagina. Niente più riallestimenti di opere vecchie, ma creazioni: una immersione nuova di zecca nella ricerca, tema d’elezione il mito. Per l’attuale direzione del lavoro, la Hoffmann si esibisce in una sede piuttosto originale: la zona bagno di una fabbrica abbandonata. In questo spazio, trasformabile in teatro, la Hoffmann e la sua compagnia provano. Il primo spettacolo nato in quest’ambito si intitola “Zeche Eins”: si tratta di un lavoro dedicato al mito di Oreste, di cui la Hoffmann presenta a Rovereto degli studi preparatori, “1991” e “Vier”, ricreati quest’estate per la fondazione Gulbenkian di Lisbona completandoli tematicamente con “Bretter” e “Coda”. In scena accanto alla Hoffmann, la musicista Elena Chernin, lo scenografo-danzatore Robert Allen e il danzatore italiano Remo Rostagno.